Grizzly Bear SHIELDS
[Uscita: 18/09/2012]
# Consigliato da DISTORSIONI
Dopo l'interessante ma un po' sfilacciato esordio in quartetto “Yellow house” del 2006 (il precedente “Horn of plenty” si può considerare un lavoro del solo cantante e polistrumentista Ed Droste) e il valido “Veckatimest” (2009), dal quale il brano Two weeks è anche assurto a celebrità mondiale grazie a uno spot pubblicitario, i Grizzly Bear giungono alla difficile prova del terzo album. Prova, detto subito, superata: “Shields” è un ottimo disco, che conferma la notevole maturazione compositiva del disco precedente. Sono anche meno nette certe influenze, Crosby Still Nash & Young e Steely Dan su tutti, che apparivano forti nel disco precedente. Qui abbiamo un elegante classic rock che mescola ascendenze sia americane che inglesi (Todd Rundgren è un nome che mi torna in mente ascoltando, ma è una suggestione più che un'ispirazione netta). La voce del cantante è un piacevole falsetto non forzato e le chitarre acustiche arpeggiate la accompagnano, alternando momenti delicati con scoppi improvvisi di suono più magniloquente. Si potrebbe parlare anche di progressive rock, se questa definizione non fosse troppo legata a lunghe suites ed assoli virtuosistici.
In “Shields” non si esce mai dalla forma canzone, sebbene i brani siano mediamente lunghi ed articolati. Vertici del disco sono What's wrong, melodia alla XTC periodo “Skylarking”, accordi sparsi jazzati di piano, chitarra insinuante, e Gun shy, tra Paul Mc Cartney e un Thom Yorke felice. Notevoli anche Yet again, più energicamente rock con chitarre e batteria più in evidenza, e Adelma, con bella partitura di fiati. In The hunt la voce eterea i suoni soffusi di piano e chitarra ci portano memorie canterburiane. Gli arrangiamenti in genere sono gustosi e raffinati, benché basati su pochi strumenti. Stranamente per un gruppo che esce per l'etichetta Warp non c'è praticamente uso di elettronica. Musica revivalista? Un po' si, ma forse è più giusto parlare di neoclassicismo, dato l'equilibrio che i quattro (oltre a Droste, Daniel Rossen voce chitarre e tastiere oltreché secondo compositore, Chris Taylor basso voce ed ingegnere del suono e Christopher Bear - l'avranno scelto per il nome? - batteria e voce) cercano di raggiungere, con buoni risultati, nelle proprie composizioni. Una serie di canzoni senza ritornelli eccessivamente piacioni, che però a poco a poco conquistano con il loro pregevole amalgama sonoro. Uno dei dischi migliore di quest'anno che dopo un inizio sottotono comincia a darci soddisfazioni.
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