Melvins PINKUS ABORTION TECHNICIAN
[Uscita: 20/04/2018]
Stati Uniti
Chiamateli magari “Butthole Melvins”; o anche “Manipolo di Rocchettari Impenitenti”, maturi cinquantenni a cui è ormai tutto concesso, il divertimento dissacrante soprattutto. Così Roger "Buzz" Osborne se la spassa con Omar Rodriguez-Lopez negli ottimi Crystal Fairy, mentre Dale Crover si è preso il lusso della prima uscita solista in 25 anni di carriera con lo scheletrico "The Fickle Finger Of Fate" (Joyful Noise, 2017). Il tutto senza mai abbandonare la “comfort zone” targata Melvins, ovvero una band che pubblica tutt’ora una media di un album all’anno. Una proposta che col passare del tempo ha prepotentemente fatto emergere quella loro parte più caricaturale e demenziale (nel senso più alto e iconoclasta del termine) spesso delegata all'elettrica chioma di King Buzzo. Plumbei, ma sempre pronti a spalancare un sorriso sgangherato e sornione, giusto con qualche dente in meno rispetto al passato.
Se su “Basses Loaded” i bassisti erano addirittura 6, con questo “Pinkus Abortion Technician” la rosa si restringe ad una coppia niente male: Steven McDonald (Red Kross) e Jeff Pinkus (Butthole Surfers, appunto). Niente male anche perchè il buon Pinkus, che svetta pure nel titolo dell’album (al posto di “Locust”, come nell’originale album dei Butthole Surfers del 1987) oltre che nei crediti di songwriting, si porta appresso qualche vecchia t-shirt sgualcita nella sua valigia. E allora ecco la cover di Graveyard (l’originale stava infatti su “Locust Abortion Technician”), la mefitica e cadenzata Don't Forget To Breathe ed il medley di apertura, che alla Moving To Florida dei perenni Butthole affianca Stop nella più classica versione della James Gang, ovvero una delle definitive jam per power trio, puntualmente dimenticata anche da noi assidui cultori del genere.
Il consiglio è di rispolverare dunque “Yer’Album” (della James Gang), “Locust Abortion Technician” (dei Butthole) e “Gluey Porch Treatments” (l’esordio dei Melvins), ma anche di ascoltare questo piccolo disco disimpegnato (8 brani, 3 cover), assai distante dalla più ampia concezione bipartita del precedente “A Walk With Love & Death”, di cui questo LP potrebbe essere un'ironica appendice, parodia di quella parodia che già fu Locust (la cover corazzata di un classicone come I Want To Hold Your Hand dei Beatles). Album che con la scusa di divertirsi tra vecchi commilitoni antagonisti, per Osborne e Pinkus diventa involontaria autocelebrazione di due carriere. Una della band pioniera dei suoni alternativi degli anni ‘90, che forse non avrà più molto da dire, di certo nulla da dimostrare, ma ha ancora un sacco di lavoro da sbrigare per divertire e divertirci, senza pretese di aggiungere nulla alla propria storia.
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