Roy Harper MAN AND MYTH
[Uscita: 23/09/2013]
# CONSIGLIATO DA DISTORSIONI
Il ritorno di una leggenda. Sì perché quel titolo, "Man and myth" se a qualcuno può sembrare altisonante è perché non conosce il favoloso Roy Harper da Manchester, England. Una carriera musicale che sfiora ormai il mezzo secolo, essendo il suo disco d'esordio datato 1966. Si trattava del meraviglioso "Sophisticated beggar" sottolineato giusto per i più distratti. E' uno dei grandi artisti rivalutati del nuovo secolo ma purtroppo la maggioranza degli appassionati rock lo conosce per vie traverse. Se chiedete a molti se conoscono Roy Harper vi verrà risposto: "ah sì, quello che era amico dei Led Zeppelin e dei Pink Floyd". E magari non hanno ascoltato una singola nota dei suoi bellissimi dischi solisti. Si' perché dal 1966 al 1977 almeno il nostro non ha sbagliato un solo disco, inanellando una serie di album che assomigliano a pietre preziose scolpite nella roccia del miglior rock inglese. Si comincia con i due episodi più legati a certo folk psichedelico come "Folkjokepous"(1969) e "Flat baroque and beserk"(1970) per arrivare al capolavoro inarrivabile di "Stormcock" con coda meritoria per "Lifemask"(1973) e "Valentine" (1974).
E' lui che dall'alto di una indiscussa maestria chitarristica ha insegnato a sua maestà Jimmy Page certi soli di chitarra acustica, ricambiato dal sentito omaggio nel terzo Led, Hats off to (Roy) Harper, oltre a svariate collaborazioni incrociate. Ai Pink Floyd ha invece prestato la voce in Have a cigar da "Wish you were here", un fatto rarissimo (di usare guest vocals) per il gruppo di Waters e soci. Era da inizio secolo che Roy Harper non ci deliziava con un nuovo disco in studio. Correva l'anno 2000, il disco era il discreto "Green Man", poi un lungo silenzio interrotto solo da sporadiche esibizioni live. Nel 2011 ha festeggiato il suo 70imo compleanno con una applaudita esibizione alla londinese Royal Festival Hall, era presente oltre a talenti recenti come Jonathan Wilson e Joanna Newsom proprio Jimmy Page, l'amico di una vita. C'era tanta curiosità per questo nuovo disco e "Man and myth" non delude affatto le aspettative. E' un ritorno alle magiche atmosfere di 40 anni prima, ai dischi che ne hanno fatto uno degli outsider più amati di quella generazione. L'uomo ha 72 primavere alle spalle ma ascoltando il disco non si nota affatto.
Solo 7 pezzi qui dentro ma tutti medio lunghi, come ai vecchi tempi insomma. Il canto di Roy unito al suo sublime fingerpicking appare come rinato, finisce il disco e si vorrebbe riascoltarlo di nuovo, rapiti dalla magia delle sue composizioni. I sette minuti di The enemy aprono il disco e puoi sorridere, contento di aver ritrovare l'amico perduto. La January man di Roy, splendida, è solo omonima del noto traditional rifatto un po' da tutti (Bert Jansch, Barbara Dickson, Christie Moore ecc.). Magie acustiche le regalano la deliziosa Time is temporary e The Stranger, questa davvero da brividi. La vivace Cloud cuckooland aperta dai fiati potrebbe anche funzionare come singolo ma conoscendo i gusti del pubblico dei nostri giorni ne dubitiamo. The exile a fine album è un'altra ballata malinconica tipica dello stile del mancuniano ma qui è la sei corde elettrica a farla da padrone. Resterebbe da dire dei 15 minuti di Heaven is here e l'unico paragone possibile è con le lunghe suite che resero immortali i suoi dischi dei settanta, come The same old rock e Me and my woman da "Stormcock" (1971) ed i 23 minuti di Lord's prayer da "Lifemask" (1971). Un gran bel disco questo "Man and myth", da collocare giusto accanto al Mark Fry di "I lived in trees" (2011) ed al Bill Fay di "Life is people" (2012) tanto per parlare dei nostri grandi eroi resuscitati. Bentornato Roy, felici di riaverti fra di noi.
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