SoKo I THOUGHT I WAS AN ALIEN
[Uscita: 6/03/2012]
Stéphanie Sokolinski aka Soko è una artista polacca ma francese di adozione che, dopo un breve periodo di notorietà nel 2007, per merito del passaparola su MySpace e del suo EP “Not Sokute” che le aveva consentito di fare da support a nomi quail Pete Doherty e M.I.A.. aveva deciso, nel 2009, di abbandonare il mondo della musica definendosi “morta” dal suo sito, per dedicarsi alla sua attività parallela di attrice partecipando a numerosi film e sceneggiati tra cui “Ma Place Au Soleil” diretto da Spike Jonze che ha realizzato anche il video del nuovo singolo in collaborazione con la stessa Sokolinski. Ora però, SoKo ha deciso di riprendere in mano la sua chitarra per realizzare quello che è il suo album di debutto “I thought I was an alien”.
Per capire l’atmosfera, provate ad immaginare Kirsten Dunst che dopo una vacanza in Francia, ritorna con un accento francese, un libro di Sartre, qualche rivista di moda ed un coltello a serra manico nello zaino e avrete un’idea di cosa vi aspetta. Un disco che in molti punti più che cantato, appare recitato nella migliore tradizione degli chansonniers d’oltralpe accompagnata dalla chitarra acustica che fa da tappeto sonoro a ricordi di estati dell’infanzia come in People look better in the sun o di innamoramenti perduti di For Marlon. Nell’ iniziale I just want to make it new with you, canta, in parte al suo pubblico ed in parte ad un nuovo, possibile amante, ci sono poi le quasi sussurrate minacce di morte alla rivale d’amore di I’ll kill her, la lieve consapevolezza del vedere strano ciò che la circonda della title track, l’autodifesa emozionale di Don’t touch me e la litania della presa di coscienza di I’ve been alone too long.
Con questa serie di 15 canzoni, la Sokolinski ci mostra se stessa come se stessimo spiando, in maniera furtiva, il suo diario segreto facendoci sentire di volta in volta in bilico tra empatia, pietà e la curiosità di voler ascoltare altro accompagnati dalla sua voce volutamente Lo-Fi senza particolari artifizi che potrebbero distrarci da quello che è il racconto del momento. Un disco autobiograficamente onesto dall’inizio alla fine, che racconta sofferenza, gioia, fragilità, stupore e malinconia in maniera diretta, quasi infantile quanto naif nella sua semplicità, ma capace proprio per questo di arrivarti dritto al cuore. Cose sicuramente già sentite e risentite e che non dicono nulla di nuovo, ma non sembrano neppure avere questa velleità, quanto invece in grado di lasciarci spiazzati e farci vivere sensazioni profonde, disincantate, quasi toccanti e diverse dal solito paesaggio indie.
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