Gorillaz HUMANZ
[Uscita: 28/04/2017]
Inghilterra
Dopo sei anni di silenzio, Damon Albarn torna con il suo side project, i Gorillaz, nati dall’incontro tra il frontman dei Blur e il fumettista Jamie Hewlett. La nuova fatica si intitola “Humanz” e, almeno nelle intenzioni di Albarn, dovrebbe suonare come una specie di apocalisse, un disco che annuncia con freddezza e rassegnazione la fine del mondo dopo gli eventi catastrofici del 2016: la Brexit e l’elezione di Trump alla presidenza USA. Eppure, nonostante i vari video-spot a fumetti e le interviste uscite nei mesi scorsi annunciassero un disco molto “politicizzato”, la versione di “Humanz” che si trova sugli scaffali degli store e sulle piattaforme digitali sembrerebbe esser stata emendata da quasi tutti i riferimenti diretti ad accadimenti recenti, forse per evitare di appesantire la materia.
A conferire toni apocalittici all’intero disco, infatti, bastano i suoni incalzanti: “Humanz” è, come gli altri quattro dischi dei Gorillaz, un brillante saggio della poliedricità di Albarn, icona britpop mai stanca di prestare l’orecchio ad altre tendenze musicali. Il disco spazia tra hip-hop, drum ‘n’ bass, dub, ambient, elettronica e pop cupo e martellante (Carnival con la partecipazione del soulman Anthony Hamilton, Sex Murder Party con Jamie Principle e Zebra Katz e Andromeda con D.R.A.M. tra le altre). Il tutto impreziosito da una pletora di collaborazioni e ospitate: la quasi totalità delle 20 tracce (tolti i sei, non irrinunciabili, interludi) è realizzata feat. qualche pezzo da 90 della musica nera odierna, ponendo l’ascoltatore davanti a una finestra sonora sui vari trend musicali “alternativi” del momento. Il rovescio della medaglia, però, è che da una parte Albarn finisce gradualmente per scomparire dal suo stesso disco (eccezion fatta per l’ottima e tetra ballata Busted and Blue), e dall’altra che gli arditi accostamenti sonori tipici dei Gorillaz rischiano, superato già da un pezzo l’effetto novità, di apparire confusionari.
La cosa migliore di un disco buono ma per larghi tratti deviante, resta la collaborazione con Noel Gallagher nella dirompente We Got The Power (insieme a Jehnny Beth) che sancisce la fine definitiva della guerra del britpop. Tra le altre cose interessanti nel mare magnum delle collaborazioni intraprese da Albarn vanno segnalate Saturnz Barz, oscura apocalisse dub in cui svetta la nuova star reggae Popcaan, e il primo singolo, Let Me Out, in cui Albarn si spinge ad accostare il soul intimo e profondo di Mavis Staples e il freestyle di Pusha T. Un gradino sotto, ma comunque apprezzabile per la visionarietà della scelta, si piazza nel podio delle collaborazioni l’armonia sognante e psichedelica di Hallelujah Money, in cui Benjamin Clementine sveste i panni di nuova icona della musica nera per calarsi nella parte di un attore shakespeariano proteso in un impegnato soliloquio tra cantato e recitato.
In definitiva, però, “Humanz” non fuga tutti i dubbi sull’opportunità di andare avanti con un progetto come quello dei Gorillaz, che sembra ormai essersi definitivamente scaricato dell’impatto rivoluzionario dei primi tempi. Ogni singola traccia del disco resta una valida lezione di storia della musica pop contemporanea e una finestra aperta sui fatti del mondo, ma nel complesso risulta veramente troppo ondeggiante. Damon, però, non sembra intenzionato a rinunciare a questo divertissement (soprattutto dopo la lunghissima pausa) e continua dritto per la sua strada. Un atto di coraggio che va premiato.
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