Black Tail SPRINGTIME
[Uscita: 20/10/2015]
#consigliatodadistorsioni
Prendete la fase più interessante nella storia dei Mercury Rev, quella del periodo “Deserter’s songs” o “All is dream”, spogliatela di quegli arrangiamenti sontuosi, solenni, quasi burtbacharachiani, ma conservatene la dolcezza, l’impatto emotivo, la bellezza delle linee vocali; il tutto, sempre e comunque, con il fantasma dei Beatles che aleggia e osserva dall’alto. Otterrete così il sound dei Black Tail italianissimi ma nati, per bizzarre vicende, artisticamente fuori Boston, dalle ceneri di un nome già ampiamente noto nell’indie rock italiano, i Desert Motel.
I momenti più lenti e intimisti di questo “Springtime” non possono fare a meno di ricordare le più commoventi creazioni dei quattro di Liverpool, come la riuscita Small talks che profuma di legno norvegese sparso un po’ qua e là Across the universe… Nei brani più veloci, invece, come la title-track, non si può fare a meno di pensare persino a realtà più pop, come gli Oasis.
I nostri quattro (Cristiano Pizzuti, Simone Sciamanna, Luca Cardone, Roberto Bonfanti), in realtà, dichiarano un amore intenso e viscerale per Pavement, Wilco, Yo La Tengo. Forse questo marginalmente è avvertibile nel songwriting, tuttavia, per quanto Pizzuti si trovasse, come già detto, a Boston, mentre iniziava a scrivere parte del materiale destinato a confluire in questo album, il sound dei Black Tail è – volente o nolente – molto più “british”; Wilco e Yo La Tengo suonano inequivocabilmente più americani, mentre i Pavement hanno un’attitudine in qualche modo più “dimessa”; si sente che i nostri stanno cercando di lavorare al raggiungimento di quell’approccio lo-fi, ma le loro canzoni suonano più rotonde, pastose, brillanti: i brani li sanno scrivere, i pezzi sono tutti trascinanti, l’equilibrio c’è, persino il “dosaggio” (9 tracce per 40 minuti complessivi) fa di Springtime un album che rasenta la perfezione.
Ma quando questi quattro italiani prenderanno coscienza della loro vera natura, smetteranno di inseguire il lo-fi e tenteranno una svolta alla Phil Spector o alla George Martin, con arrangiamenti monumentali, degni dei Beach Boys o della Motown, probabilmente partoriranno il loro capolavoro.
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