Corni Petar NOVANTASEI
[Uscita: 13/01/2014]
Secondo disco per i Corni Petar, gruppo composto da ben 3 chitarre, basso e batteria. I Corni Petar nascono nel 2005 da un'idea di Marco Rossi (già chitarrista degli Shandon) e Giorgio Tenneriello, cantante e compositore milanese. Hanno all'attivo più di 200 concerti tra festival, club e opening. Vincono Arezzo Wave Love festival 2005. Il 16 aprile 2010 esce il disco d'esordio "Ruggine" (Ammonia Records), registrato nel corso del 2009 alle Officine Meccaniche Rec. Studios di Mauro Pagani, con la produzione artistica di Taketo Gohara (già producer di Edda, Lombroso, Marta sui Tubi, Ministri e Verdena e fonico del recente tour di Vinicio Capossela con la Banda della Posta). Col nuovo disco si cambia produttore, ecco arrivare Marco Posocco, in passato al lavoro con PFM, Blevertigo, Afterhours. È ovvio come l’uso di tre chitarre indirizzi inevitabilmente la musica dei Corni Petar, un rock piuttosto potente ma che non disdegna le soluzioni melodiche. Questo forte impatto si nota soprattutto nella traccia d’apertura, Estate, e altrettanto in quella finale che dà il titolo al disco. La presenza delle tre chitarre, il cui timbro è distorto in modo da suonare più aspro o più profondo consente intrecci elaborati e cambi di soluzione dell’arrangiamento all’interno del pezzo stesso.
A partire dal secondo brano Scusami si fanno più forti le influenze di marca new wave, con arpeggi taglienti e basso e batteria molto presenti. Ancora più anni ’80 Che rischio c’è, aperta da una batteria marziale e un basso incessante su cui si innestano fraseggi spezzati di chitarra. A metà disco le atmosfere cambiano, con Aria e Solitudine abbiamo un brano lento, in cui appaiono le chitarre acustiche insieme a quelle ultrasaturate in stile shoegaze, che conferiscono la caratteristica atmosfera sognante alla canzone. Mentre Bauhaus non ci sembra un omaggio al grandissimo gruppo inglese dei nostri tempi, i cambiamenti di ritmo interni danno addirittura un sentore di prog rock, Via del campo è ovviamente una cover di Fabrizio De Andrè, artista la cui influenza sulla musica italiana è sempre maggiore (da noi in Liguria è oramai una religione), resa con grande rispetto e competenza, tra blues violento e murder ballad. Se c’è un limite nel disco è nel cantato sin troppo melodico, che non si sposa perfettamente con la musica, ma conosciamo la difficoltà insita nel cantare in italiano una musica che è nata sul fraseggio di un'altra lingua. In ogni caso nell’insieme un buon lavoro, che conferma la vitalità del mondo del rock italiano. Il lavoro grafico è di Roberta Maddalena alias Birò.
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