Paul Banks BANKS
[Uscita: 22/10/2012]
Paul Banks, leader dei newyorkesi Interpol, non ha bisogno di presentazioni. Dotato di un timbro profondo, di magnetico carisma e di un songwriting etereo quanto ipnotico, è stato uno degli artefici di “Turn on The Bright Lights”, tra gli album più belli della scorsa decade. Un artista innervato di talento, già protagonista, sotto il nome Julian Plenti, di un precedente album solista: l’alter ego dalle derive arty, scartato musicalmente e defunto artisticamente, sacrificato oggi ad un riavvicinamento alla band madre. La scelta infatti di Paul Banks di pubblicare a suo nome questo nuovo lavoro non lascia dubbio alcuno: segno tangibile di una volontà artistica di tendenza Interpol ma dalle tinte decisamente sbiadite. Scopriamone la ragione. Il disco che ne sancisce il ritorno, sia come impianto strumentale che melodico, sembra essere proprio un sequel dei lavori della band newyorkese: sembra, appunto.
La sensazione che in realtà pervade l’ascolto è quella di una perdita complessiva di intensità e vivezza. I riferimenti sono chiari ma la percezione è di un talento sprecato con un compitino melodico che mai azzarda o sorprende. Limitate suonano le parti acustiche e le orchestrazioni, svagati gli episodi strumentali (Lisbon, Another Chance), imbolsite melodicamente le varie The Base, Over The Shoulder, No Mistakes e Summertime is Coming. La polpa del disco risulta essere allora fin troppo magra e le impressioni generali non lasciano mai spazio a spunti gratificanti o a cenni di ripresa. Parliamoci chiaro, sono dell’idea che questo materiale non appartenga alla vera anima artistica di Banks: troppo esile e smunto, una debole parentesi in un percorso importante. Spero allora che “Banks” sia solo il frutto di un periodo di appannamento, il testamento di una temporanea perdita d’ispirazione, scongiurando cosi un letargo compositivo ed artistico che, ahimè, comincia a mostrarsi.
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