Van Der Graaf Generator ALT
[Uscita: 25/06/2012]
L’uscita di un nuovo lavoro dei Van Der Graaf Generator, è di per sé un avvenimento sempre carico di segni: i segni della grande epopea “progressive”, dell’approccio superbo alla musica sperimentale coniugato alla perfezione col contrappunto vocale, talora incendiario e corrosivo all’inverosimile, talora tenue e illanguidente come le esili nervature di una foglia, della splendida voce di Peter Hammill. Ne sono testimonianza evidente gli ultimi dischi dei Nostri, quantunque difficile fosse riannodare i fili, disciolti da decenni, di un impegno artistico ai limiti del delirio sonoro, ebbro di febbricose linee, melodicamente spezzate in segmenti di follia compositiva, tendenti all’infinità della sperimentazione sine macula. In “Present”, relativamente al primo dei due cd, in “Trisector”, in parte cospicua anche in “A Grounding In Numbers”, sia pure nel mutato contesto della musica odierna, questi segni erano ancora riconoscibili, immutata la tensione verso soluzioni sonore ardite e aliene a ogni logica di semplicistica trama compositiva, seppur non più pregne della stessa energia devastatrice e iconoclastica, com’è ovvio e naturale dopo tanti lustri; la voce di Peter sempre splendida, come anche dimostrato nel recentissimo suo lavoro solistico “Consequences”, potente l’affresco sonoro offerto da Hugh Banton e Guy Evans, una volta involatosi il grande David Jackson.
Invece, eccoci qui a discettare di un lavoro non riuscito e del quale avremmo fatto volentieri a meno. Già negli scorsi decenni, Peter Hammill, di quando in quando, ci abituava a codeste “uscite” sperimentali (“Spur Of The Moment”, “Loops and Reels”, “Unsung”, “Sonix”…), certo non del tutto prive di fascino, non foss’altro che per la loro carica di ricerca ed escavazione dei suoni, ma mai del tutto convincenti. La forza dei Van Der Graaf, prima, e dell’Hammill solista poi, risiedeva, e risiede, nel virtuoso intreccio tra le linee melodiche e quelle di più schietta matrice sperimentale, oltre che nella meravigliosa voce di Peter, utilizzata come uno strumento aggiunto, ora nei toni del falsetto ora in quelli della potenza stentorea di un baritono, che nel presente lavoro è “drammaticamente” assente. Qui, invece, ci troviamo dinanzi come a una intricata foresta di simboli sonori, improvvisazioni ed esperimenti aggrovigliati e in gran parte edonisticamente modulati. Un peccato di narcisismo musicale, che speravamo Peter si fosse messo alle spalle, dopo il secondo cd di “Present”, nel 2005. Eppure, pezzi come Colossus, Repeat After Me, Midnite Or So, Tuesday The Riff, Dronus, riescono ancora ad ammaliarci un poco, a restituirci un frammento dello splendore smeraldino dei grandi Van Der Graaf, grazie all’intreccio talora lussureggiante di chitarra e organo, al lontanante rullare delle percussioni come sorgente da arcane profondità. Consideriamo questo disco come il frutto un’esigenza dello spirito, troppo infiammato dalla potenza creativa, di attingere a catartiche mucillagini sonore, al fine di rigenerarsi e ricomporsi, più innanzi, in adamantina purezza, nell’unità superiore della riconquistata grazia compositiva.