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23 Maggio 2015

Spazio Filosofia: Emil Mihai Cioran LO SPLENDORE DELL’INESISTERE

2015

 
emcioranRasinari, Romania, 8/4/1911 - Parigi, 20/6/1995                                       

  

                          PREMESSA

 

Genio della dissoluzione di ogni concetto dell’essere, cittadino del nulla e fautore di rovinose decadenze Emil Mihai Cioran lo fu sempre, in ogni attimo della sua vita da apolide di classe, sia sulla crosta terrestre sia negli anfratti graveolenti dell’Esserci. Nulla sfuggiva al fuoco devastatore delle sua mente imbevuta del vetriolo dell’intelligenza denudante e scorticante:  Dio, nascita, amore, pensiero filosofico, respiro flottante come pestilenziale orifiamma sopra i destini dell’umana schiatta. Una coerenza passata al duro vaglio della contraddizione dolorosa, del frastagliarsi del ragionamento che assurge a catastrofe del memorare, del rifiuto prometeico dell’asservimento alla catena della durata e del tempo cronologico dal cui svolgersi sola sorte possibile è la caduta nell’indicibile. E la parola, in forma aforistica, puntuta, venefica, faustiana, ignifera messaggera del caos scardinante, agostinianamente diabolica, gli serviva per invertire i cieli e svellere i pianeti del pensiero umano dalle loro orbite apparenti e ingannevoli. Un Faust iconoclasta, sprezzante del Cielo come anche delle regioni ctonie di tutti i possibili inferni.

 

 

DALLA TRANSILVANIA A PARIGI, PASSANDO PER TUTTE LE SOLITUDINI

“Non bisogna costringersi a un’opera, bisogna solo dire qualcosa

che si possa bisbigliare all’orecchio di un ubriaco o di un morente”

E.M.Cioran (L’inconveniente di essere nati)

 

Cioran_in_RomaniaApolide di gran lignaggio culturale, le prime opere del Maestro (“Al culmine della disperazione”, “Lacrime e santi”), nei primi anni Trenta, furono pubblicate in Romania e in lingua rumena, prima della svolta francofona. I successivi libri vennero infatti modulati, “pensati” in lingua francese, nel periodo che s’inaugurò con la sua permanenza in Francia. Il fatto stupefacente fu che, pur non essendo la sua madrelingua, Cioran raggiunse in essa livelli di assoluta e, diremmo, insuperata eccellenza, con una raffinatezza di tratto filosofico-letterario di pregio formidabile.

La passione dell’assoluto in un’anima scettica! Un saggio innestato su un lebbroso! Tutto ciò che non è o assoluto o verme è ibrido. Poiché io non posso essere custode dell’infinito, non mi resta che custodire cadaveri”   E.M.Cioran (Lacrime e santi)

 

culmineLo stile aforistico adottato è quello dei profeti dell’annichilamento dell’elemento umano, dei propugnatori della fine del mondo, dei pazzi del pensiero spietatamente lucido e disperato, degli abissali conversatori col nulla e degli avversari del divino. Nessuna funzione consolatoria della scrittura, mai, nessun ammiccamento e cedimento all’arte del convenevole e del pensiero, racchiuso come in un bozzolo estemporaneo e frale, mistificatore e mellifluo e vellicante la natura umana. Il tono è sprezzante, una soluzione alla soda caustica, aggressivo, scardinante, provocatorio, dissacrante, autentico, senza infingimenti. E’ immissione omeopatica di robuste dosi venefiche nel corpo straziato e dolente dell’Opera.

Vi sono notti in cui l’avvenire si abolisce, e di tutti i suoi momenti

sussiste soltanto quello che sceglieremo per non più essere”    E.M.Cioran (Il funesto demiurgo)

 

CIORAN 2Un’ombra dal sinistro profilarsi si stagliò sugli anni giovanili di Emil, la sua iniziale e ampiamente e inequivocabilmente ricusata, nel seguito di tutta la sua vita, adesione ai movimenti fascisti e nazisti, al loro incipit, dapprima in Romania (la Guardia di Ferro di Codreanu) e poi nel suo breve soggiorno tedesco, il Movimento Nazional-Socialista di Hitler. Così come fu avverso al regime comunista rumeno del dittatore Ceausescu. Egli non poteva legarsi ad alcun credo, ad alcuna utopia, nefasta o meno che fosse, a qualsivoglia regime e ordinamento politico, nemmeno quello democratico, che pur considerava, non certo benignamente, come incubatore di mediocrità e banalità, il minore dei mali possibili, poiché fluttuava con la parola scritta brandita come un’arma fiammeggiante, al bordo stesso degli inferi e sugli abissali confini dell’indicibile.

 

DALLA SCIAGURA SERIORE DEL NASCERE ALLA CADUTA NEL TEMPO

 

ciorannatiNel pensiero destrutturante e apocalittico del Maestro, non è il finire, nelle sue accezioni antropologiche, fisiologiche o di mera rappresentazione psico-intellettualistica, il male assoluto, ma il principio, l’efflorescenza nefasta che si sostanzia nel concetto di nascita, l’effrazione del confortevole involucro dell’inesistere e della pienezza ineffabile dell’assenza.

Noi non corriamo verso la morte, fuggiamo la catastrofe della nascita, ci affanniamo, superstiti che cercano di dimenticarla. La paura della morte è solo la proiezione nel futuro di una paura che risale al nostro primo istante”  E.M.Cioran (L’inconveniente di essere nati)

 

Tutta la vita di Cioran, per sua stessa ammissione, è stata un conato di violenza perpetrato ai suoi danni: dalla nascita, detestata come idea, all’essere stato strappato alla sua infanzia felice, a contatto coi pastori, tra i monti Carpazi, per essere avviato alla funesta conoscenza nelle scuole di Hermannstadt (l’attuale Sibiu); dall’utilizzo magmatico cioranconversacionese impetuoso della lingua rumena, adottata nei suoi primi libri pubblicati in Romania, alla metodicità estetizzante e algida del francese, dopo il suo trasferimento a Parigi (dei francesi diceva che erano un popolo completamente privo di immaginazione metafisica). Tuttavia, pur affondando nella noia come ipostasi del niente stesso, Cioran seppe CIORAN 5trarre dalla contemplazione stupefatta e attonita del nulla che gli si stagliava dinanzi, la materia ustoria dei suoi scritti al curaro.

Filosofia della perdita, lontana da ogni accademismo e da ogni aggancio con la cultura “ufficiale” dell’epoca, anzi: anarchia del pensiero allo stato puro. I pochi intellettuali e artisti che conobbe e che frequentò (Mircea Eliade, Eugene Ionesco, Costantin Brancusi, Samuel Beckett…) li guardò sempre col sospettoso cipiglio di chi è giunto, involontario e adombrato ospite, in una società verso cui nutrire il massimo disprezzo.

Del resto, paragonata al nostro nefando presente, qualsiasi altra epoca ci sembra benedetta. Allontanandoci dalla nostra vera destinazione, noi entreremo, se non ci siamo già, nel secolo della fine, in quel secolo raffinato per eccellenza (complicato sarebbe l’aggettivo più adatto) che sarà necessariamente quello in cui, su tutti i piani, ci troveremo agli antipodi di ciò che avremmo dovuto essere”    E.M.Cioran (La caduta nel tempo)

 

TRA L’IMPOSSIBILITA’ DI  DIO E LA TRAPPOLA DELL’UMANO

“Signore, sei tu nient’altro che un errore del cuore,

come il mondo è un errore della mente?"    E.M.Cioran (Lacrime e santi)

 

lacrimeUna visione metafisica della vita, quella di Cioran, nella quale Dio, come entità imperturbata e imperturbabile, alla maniera gnostica, se ne sta assiso sui suoi troni pneumatici, dimentico e quasi fastidiato del mondo che pure, nella ideologia antiteistica cioraniana, ha avuto il torto di concepire. Un Dio con cui ingaggiare, sebbene a distanze astrali, e senza la minima concessione al dogma della sua indefettibilità, una battaglia senza requie né concessioni di credito religioso. Per chi considerava l’umanità come il mero frutto di una catastrofe cosmica, una siffatta idea di Dio non era affatto sorprendente: era la maniera di un mistico del nulla di rapportarsi al concetto del divino che, pur trascorrendo per i cieli dell’inesistenza, sostanziava l’intero arco di una vita speculativa.

Che cos’è Dio, se non un momento sul limitare della nostra distruzione? E che cosa importa se esiste o no, se per suo mezzo la nostra lucidità e la nostra follia si bilanciano e noi ci plachiamo avvinghiandoci a lui con passione assassina?”     E.M.Cioran (Lacrime e santi)

 

SOSPESI TRA L’ESSERE E IL NON ESSERE

 

Il tema del fallimento, centrale nella concezione di Cioran, che ne permea interamente l’opera, si sostanzia nell’idea del suicidio: non del gesto in sé dettato da cause contingenti, volgare anzichenò e antifilosofico per antonomasia, ma dell’idea profonda, del conato metafisico della fuga da se stessi.

 CIORAN 4

Ci si uccide solo se si è sempre stati, per certi aspetti, fuori da tutto. Si tratta di un’inappropriazione originaria, di cui si può anche non essere coscienti. Chi è chiamato a uccidersi solo per caso appartiene a questo mondo; in realtà non appartiene a nessun mondo.

Non si è predisposti, si è destinati al suicidio, vi si è votati prima d’una qualsiasi delusione, prima d’una qualsiasi esperienza: la felicità spinge al suicidio quanto l’infelicità, anzi ancora di più perché amorfa, improbabile, esige uno sforzo di adattamento estenuante, mentre l’infelicità offre la sicurezza e il rigore di un rito”      E.M.Cioran (Il funesto demiurgo)

 

anatemiIl tema del fallimento e quello della noia esistenziale e filosofica si intrecciano nel pensiero di Cioran, sino a divenire un tutt’uno e a partecipare l’uno dell’altro. La noia non è quella che affiora dal quotidiano e dai suoi rituali mediocri e banali, ma afferisce all’essere, è la puntuale e irrimediabile intuizione del niente, in cui nessuna cosa ha senso, dal gesto minimo al più elaborato e complesso pensiero sull’esistente. Allora, subentra il confortevole avello dell’ironia salvifica, un’escatologia dell’oblio e del dissolvimento di ogni passione insorgente nel puro tepore dello scetticismo, destinato a inabissarsi nella morbida quiete del nulla.

 

 

 

IL BAGLIORE AURORALE DELL’ANDARSENE

“Più d’una volta mi è capitato di intravedere l’autunno del cervello, l’epilogo della coscienza, l’ultima scena della ragione -  poi, una luce che mi gelava il sangue.

Verso una saggezza vegetale: abiurerei tutti i miei terrori per il sorriso di un albero”

E.M.Cioran (Sillogismi dell’amarezza)

 

sommarioLa lezione che quest’uomo geniale e assediato da tutte le solitudini e angosce, dall’impossibilità del sonno ristoratore e del sogno rassicurante della durata affondata nella quiete, ci ha lasciato, come retaggio interiore permeato d’un sinistro fulgore, si sostanzia nell’idea che è impossibile accepire il mondo come dono prezioso, scaturigine di una volontà divina inetta a trattenersi sulla soglia del non dicibile, dell’inespresso, dell’inadempibile; e che l’elemento umano sia il sommamente disdicevole, il prodotto spurio e immondo della catastrofe primigenia: allora, non rimane che un’inerte, silenziosa, seppur ironica nel senso nietzschiano, CIORAN 6contemplazione degli istanti, esecrando la nascita come evento funesto e irrimediabile, e l’essere come fomite di tutte le patologie della caduta nel tempo originario, nell’attesa eliotiana che il fuoco e la rosa siano uno, e l’ultimo istante si riconcili col primo, trascinando nascita e morte negli abissi della dimenticanza.

 

Rocco Sapuppo

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