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24 Aprile 2012 , ,

Jack White BLUNDERBUSS

2012 - Third Man Record
[Uscita: 24/04/2012]

Jack-White-Blunderbuss# Consigliato da DISTORSIONI

 

Se si digita “Blunderbuss” nella ricerca immagini di Google, escono un sacco di foto che rappresentano dei vecchi fucili a canna corta con la parte terminale che si allarga a mo’ di tromba, come quelli che si usavano nell’ 800. Cerco in italiano “spingarda” ed eccola lì: è l’arma che usa Paperon de’ Paperoni quando deve fronteggiare i Bassotti oppure quando minaccia Paperino dopo che ne ha combinata una di troppo. Per fortuna Jack White III non ha avuto intenzione di usarlo quando si è separato da Meg sciogliendo i White Stripes, non quando ha divorziato dalla modella Karen Elson, e nemmeno per dare la caccia a quel corvaccio nero dato che se lo trova appollaiato sulla spalla destra come si vede nella copertina.  Ora, cosa l’abbia spinto a intitolare così il proprio album d’ esordio non è dato saperlo, l’associazione di idee più vicina viene dai pallettoni che possono essere sparati dalla tromba di quella canna, che, se trasformati in canzoni, colpiscono quasi tutti il bersaglio.

 

Esordio da solista che arriva dopo anni di scorribande del nostro amico che, tra dischi a nome White Stripes, Raconteurs e Dead Weather, svariate produzioni (di pregio quelle per le grannies Wanda Jackson e Loretta Lynn) e apparizioni su stages altrui (Rolling Stones), sembra non stare un attimo fermo. Allora, veniamo a noi. Tutti gli stili e le influenze per cui Mr. White è diventato famoso sono presenti e sapete bene cosa aspettarvi; il “qualcosa in più” arriva da una vena folk sporcata di blues abbastanza inedita per lui e ben rappresentata dalla title-track, e da una certa morbidezza generale. Il tutto è prodotto e arrangiato molto bene, Jack suona diversi strumenti e si è fatto aiutare da un nucleo che verosimilmente lo accompagnerà dal vivo: Bryn Davies al basso, Olivia Jean alla chitarra, Brooke Waggoner alle tastiere e da Carla Azaar alla batteria. Se dal pezzo di apertura ci si aspetta un assalto fatto di tipiche chitarre alla White Stripes si rimane fregati: l’errebì dell’iniziale Missing Pieces è affidato all’accogliente suono di un bel Fender Rhodes, ma tranquilli se volete tuonarvi di chitarre hard-blues queste arrivano subito dopo col singolo alla Who Sixteen Saltines.

 

Si replica anche più avanti con (ovvie) citazioni Led Zep, ma sappiate che in questo momento fanno più casino i Black Keys. Qui sono davvero i tasti a farla da padrone rendendo il suono più corposo che in passato: ce ne sono di tutti i tipi, pianoforti a coda, verticali ed elettrici, organi a pompa e non, tanto che a suonarli si sarebbe divertito un bel po’ Benmont Tench, ma ancora di più Roy Bittan visto che quello là saranno trent’anni che non gli scrive una parte come si deve. Pianoforte quasi classicheggiante e in gran risalto nella bella Hipocrytical Kiss, e nella stupenda Weep Themselves to Sleep in cui la partenza del solo di chitarra sembra lo starnazzare dell’uccellaccio di cui sopra al quale stanno tirando il collo. Piacciono poi la divertente I’m Shakin’ con i suoi bei cori e la voce filtrata dal bullet mic, cover di un hit di Little Willie John che aveva già goduto del trattamento Blasters, e il rock’n’roll a briglia sciolta della successiva Trash Tongue Talker. Ma sì dai, è un bel disco, avesse solo 'lasciato andare un po’ di più il braccio'...

Roberto Remondino

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