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4 Giugno 2015

Youth – La giovinezza Paolo Sorrentino

2015 - Italia, Francia, Svizzera, Gran Bretagna

Cast: Michael Caine, Harvey Keitel, Rachel Weisz, Paul Dano, Jane Fonda

Uscita: 20 maggio 2015 - Durata: 118 minuti

 

YouthPaolo Sorrentino diventa sempre di più un regista che o si ama o si odia, senza mezze misure. Il polverone e i proverbiali fiumi d’inchiostro versati dopo il successo e l’Oscar a "La grande bellezza" hanno gettato benzina su un fuoco che s’era già acceso da molto tempo (almeno dai tempi de "Il divo"). C’è chi lo osanna, lodandone le acrobazie tecniche e la complessità stilistica, c’è chi invece detesta la facciata barocca, l’horror vacui dei suoi movimenti di macchina, le carrellate tortili, e gli altri accorgimenti che il suo cinema mette in campo per mascherare, talvolta, certe ingenuità di sceneggiatura. Dalle accuse di lesa maestà o di antipatriottismo (!!!) nei confronti di chi non aveva amato La grande bellezza, fino all’estremo livore di alcuni critici s’è parlato e si è scritto molto: molto spesso s’è dimenticato la cosa fondamentale, il cinema. "Youth - La giovinezza", dunque, è un film che arriva dopo i fasti, dopo la consacrazione internazionale. Diciamolo subito, a scanso di equivoci, è un film che non si piazza in vetta alla produzione del regista, ma è una pellicola che – nella sua medietà – trova il suo spazio ed il suo senso, e forse riesce a dire molto di più di certi pretesi capolavori del recentissimo passato. 

 

Michael Caine (che offre un’interpretazione, al solito, magistrale) e Harvey Keytel sono due artisti (un compositore ed un regista cinematografico) che nel buon ritiro d’un resort sulle Alpi svizzere mentre tentano di rimettere insieme i cocci del loro passato, provano a costruirsi un futuro, a reinventarsi una giovinezza conquistata, forse, solo in tarda età. Al youthsecondo film in lingua inglese (dopo l’irrisolto "This must be the place") Sorrentino sceglie il linguaggio dell’elegia: le montagne svizzere fanno da sfondo ad una vicenda in cui la riflessione sulla terza età si lega all’idea di futuro (nella terza età si pensa al futuro?). Ma l’elegia è, ancora una volta, elegia barocca (strano come Garrone, che porta in scena un capolavoro della letteratura barocca, rifugga dal barocchismo), la paura del vuoto che caratterizza il cinema del regista non risparmia neanche il silenzio delle verdi valli alpine: il bucolico diventa tragico, le humiles myricae lasciano spazio al michelangiolesco nudo di Miss Universo. Tutto ha bisogno d’essere riempito, l’opulenza dei movimenti di macchina non risparmia neanche questo film, e torna ad essere, purtroppo, molto spesso la vera protagonista. 

 

Il senso è stridente: Sorrentino cerca una leggerezza, ma non può fare a meno di appesantire: momenti apparentemente zen si trovano ad essere zavorrati a terra dal peso di uno stile che mai riesce a lavorare per sottrazione, a farsi davvero lirico, a levitare da terra. Lo scarto è sempre più evidente: di nuovo il regista sembra volersi ritagliare delle nicchie da decorare con un cesello che inevitabilmente porta il film fuori da un binario che youth_headerè ben definito; eppure la variazione, l’assolo, la regia - che cercando di cogliere un bagliore di luce perde di vista il messaggio - tornano quasi ad intervalli regolari e il film ne risente molto. Di nuovo, davanti ad ogni suo film ci torna in mente quell’intervista di Rossellini in cui parlava di “immagini da rivista per fotografi dilettanti che corrono ancora dietro al contrasto dei bianchi e dei neri, che sono ancora convinti che il barbaglio di luce dietro la fronda sia poetico, che il pasticcio sia barocco e che la fotografia imprecisa e sgranata sia nobile”). È vero: questa è sempre stata la caratteristica del suo cinema (e quindi torniamo all’'o si ama o si odia'), ma quello di Paolo Sorrentino inizia ad essere un cinema che dimentica il cinema; e paradosso estremo è che lo fa con una perizia tecnica da fare davvero invidia. 

 

Luca Verrelli

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