Pierre Boulez La modernità è l’amnesia, il classicismo la memoria
26 Marzo 1925, Montbrison, Rhône-Alpes, Francia -
5 Gennaio 2016, Baden-Baden, Baden-Württemberg, Germania I N T R O
Con la dipartita del compositore e direttore d’orchestra Pierre Boulez, il mondo perde uno degli ultimi esponenti di rilievo della cosiddetta ‘musica contemporanea’. Nato a Montbrison, nella Loira francese, il 26 marzo del 1925, intraprende i suoi studi presso il Conservatorio di Parigi come allievo di Olivier Messiaen. Contribuirono alla sua formazione Andrée Vaurabourg e René Leibowitz, che lo introdusse all’apprendimento della tecnica dodecafonica classica. Nella sua lunga attività di musicista furono moltissimi gli incarichi prestigiosi ricoperti. Dalla direzione delle musiche di scena della compagnia Renaud-Barrault tra il 1946 e il 1955, fino ai corsi di analisi presso l’Istituto Internazionale per la Musica di Darmstadt e poi all’Accademia di musica di Basilea.
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Fonda nel 1954 a Parigi i Concerti del Domaine Musical, con lo scopo di diffondere la musica contemporanea. Nel 1969 assume la direzione dell’Orchestra della BBC a Londra e nel 1971 della Filarmonica di New York. Nel 1976 ha assunto la direzione dell’IRCAM (Istitut de recherche et de coordination acoustique-musique) riducendo di molto l’attività direttoriale a favore di quella di ricerca e sperimentazione. Fin da subito Boulez iniziò a definire un pensiero musicale di profonda novità in una direzione che in parte arrivava a sconvolgere e mettere in discussione le categorie tradizionali di armonia, polifonia, ritmica e dinamica. Grande ingerenza aveva portato durante i suoi anni di permanenza a Darmstadt agli Internationale Ferienkurse für Neue Musik, letteralmente Corsi estivi di composizione per la Nuova Musica, meglio noti in italiano semplicemente come corsi estivi di Darmstadt. Rivolti ai compositori ed esecutori di musica contemporanea. Fu proprio in quegli anni che si manifesta la frattura con il rigore ortodosso di Leibowitz, legato alla tradizione e al cosiddetto sistema ‘tonale’ per avvicinarsi alle nuove idee professate da Anton Webern, che per primo abbraccia senza compromessi una dodecafonia detta ‘seriale’, valida anche per il sistema modale. I corsi di Darmstadt ne costituirono senz’altro la più alta scuola di pensiero, tra i suoi frequentatori ci furono: Stockhausen, Ligeti, Berio, Pousseur e Nono.
Fu proprio Olivier Messiaen, maestro di Boulez, ad applicare per primo la serie, altre che alle note della scala cromatica, anche ad altri parametri musicali come altezze e dinamica, arrivando al ‘serialismo integrale’. Celeberrimo e di rottura epocale fu proprio l’articolo di Boulez apparso nel 1952 su ‘The Score’: Schönberg est mort con cui si inaugurava l’avanguardia moderna, la musica atonale post-weberniana. Gli artisti della sua generazione segnarono un punto di svolta nell’avvicinarsi a nuove tecniche di astrazione, dove il discorso sperimentale diventava fondamentale nella creazione di linguaggi sempre più aperti ad una lettura cosmopolita e universalistica. Svilupparono anche una coscienza critica che, tra polemiche e dibattiti, segnò una nuova consapevolezza direzionale, un nuovo fermento costruttivo e ideologico. Rimangono avvincenti e intriganti gli scambi epistolari con John Cale, raccolti in "Corrispondance et Documents", volume curato da J.-J. Nattiez (Amadeus, Winterthur, 1990, pubblicati da Archinto nella versione italiana nel 2006) in cui si evidenzia la differenza di vedute dei due artisti nei confronti dell’estetica della casualità.
Una dialettica incessante di ricerca/scoperta che è soprattutto attitudine filosofica prima ancora che meramente musicale. Che fa di Boulez un protagonista assoluto nell’edificazione della storia musicale e della cultura occidentale, un ‘architetto’ di quel “progetto della modernità” che lo lega alla più radicale manifestazione del modernismo, ovvero l’avanguardia del XX secolo. Le sue caratteristiche di direttore d’orchestra sono inclini ad una grande trasparenza analitica nell’interpretazione, ad una raffinata sensibilità timbrica e a calibratissime gradazioni dinamiche. Si ricordano tra le altre le sue esemplari letture di Berlioz, Debussy (Pelléas et Mélisande, del 1969 su tutte), di autori del primo Novecento (Berg, Bartók, Stravinskij). Celeberrima la Lulu del 1979 di Berg. Nel 1976 dirige la Tetralogia diretta da Chéreau a Bayreuth. Le sue composizioni sono meravigliosamente sospese tra tensioni violentissime e drammaticamente lucide e zone di incantata, rarefatta delicatezza. Sonatine (1946) per flauto e pianoforte, Prima (1946) e Seconda Sonata (1948) per pianoforte. Le cantate per voci, coro e orchestra sempre scrupolosamente riviste e modificate negli anni: Le visage nuptial, Le soleil des eaux. Vicine alla nuova attitudine radicale del serialismo integrale sono Livre pour quatuor per quartetto d’archi, Poliphonie X per 18 strumenti, Structures I per 2 pianoforti.
Anche queste opere sempre rivisitate e integrate negli anni anche sulla base di un’attenuazione e di un ammorbidimento dell’iniziale rigore di lettura dell’opera che man mano ha favorito e messo in rilievo il personale sentire individuale dell’esecutore. Se prima Boulez aveva rifuggito nel modo più categorico l’impasto vizioso tra memoria e oblio (tradizione e innovazione) alla fine arriva a concepire una singolare relazione creativa con la reminescenza storica e culturale, affermando: «la modernité c’est l’amnésie, et le classicisme, la mémoire». La modernità necessita dell’oblio, di una cesura netta di tutte le forme accademiche precedenti perché avverte con inquietudine la crisi dei mezzi espressivi in esse contenuti. Questa rivoluzione palingenetica però, apre le porte all’ignoto, ad un paradigma della contraddizione che si avvicina quasi al non senso, all’afasia e a cui bisogna porre mediazione. L’occhio e l’orecchio non possono perdere la loro vicinanza, il progetto intellettuale non può allontanarsi da un esito sensibile che comunque si rivolge ad un fruitore che ‘ascolta’, che partecipa. Pierre Boulez rivede quindi il suo dogmatismo eccessivo. Le Marteau sans maître per contralto e 6 strumenti, con un organo cameristico che include strumenti orientali.
Le opere ‘aperte’ basate su un’alea controllata ispirate a Mallarmé: Pli selon pli, Terza Sonata. In Éclat, per 15 strumenti e Eclat-Multiples, si evidenzia un recupero netto di certe assonanze con il passato. Flessibilità ritmica, variegature timbriche, giochi raffinati di rifrazioni, frantumazioni, mobilità repentine. Citiamo ancora Domaines, Livre pou cordes, Structures II, Cummings ist der Dichter, Rituel, Répons in cui si usa il sistema digitale messo a punto dall’IRCAM. Insieme a Edgar Varése e Pierre Schaeffer fu tra i pionieri dell’esplorazione elettronica. Davvero una vita intensa e piena e un’eredità di ricerca preziose per continuare a scrivere la storia della musica e per guardare al futuro con maggiore consapevolezza. Il compositore fui sempre attento alla divulgazione e all'apertura della musica a nuovi autori e nuovi pubblici, nella sua carriera predomina uno spirito aperto all’innovazione e alla multidisciplinarità. Da questo spirito nascono le sue due ultime 'creazioni', sorte a vent'anni di distanza nel nordest di Parigi, nel parco della Villette: la Cité de la Musique, spazio espositivo che ospita mostre e laboratori e la Philharmonie, la nuova grande sala concerti parigina firmata da Jean Nouvel e inaugurata l’anno scorso per i suoi 90 anni.
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