Funny Dunny THE WAITING GROUNDS
I Funny Dunny nascono ad Avellino verso la fine degli anni ’90 con l’intento di dare un calcio nel culo a quello che in pieno berlusconismo aveva afflitto musicalmente – e non solo - la penisola nel suo incauto ottimismo, imperversando a colpi di sound system e posse, mentre l’indie faceva più di qualche concessione a sonorità etno-mediterranee, più spesso camuffate da realtà pseudo-reazionarie ma con malcelati propositi imprenditoriali. Cinque ragazzi, in formazione due chitarre, voce, basso e batteria, con una passione comune per le garage bands, la psichedelia e l’R&B dei sixties, e le rivisitazioni postume in chiave punk e Paisley. Da un primo EP autoprodotto nel 2002 son passati 10 anni, nel frattempo c’è stato tempo per girare partecipando a vari festival, aprendo concerti per Dirtbombs, Vicars, Urges, Wooden Tits, facendosi conoscere lungo lo stivale, nonché in Inghilterra alla corte di sua maestà Dirty Water, e in Spagna. Nel 2008 c’è pure qualche soldo per registrare il primo album “Things have changed”, e nel maggio di quest’anno è la volta di “The Waiting Grounds”, lavoro maturo in tutti i sensi.
Intanto i nostri non sono piu dei ragazzini come si può ben vedere in copertina nell’elegante packaging, il lavoro di studio (religiosamente in analogico) viene affidato a Nene Baratto dei Movie Star Junkies e Matteo Bordin dei Mojomatics, padronanza e competenza musicale emergono con decisione senza scadere in facili ammiccamenti e manierismi, ma ignoranza e volgarità restano le padrone a cui asservirsi, e prerogative indispensabili se si vuole restituire il genere con autenticità. L’eredità di Northwest bands quali Wailers, Sonics prima, Morlocks e soprattutto Makers (quelli di “Psychopathia Sexualis”) in tempi più recenti, marchia a fuoco pezzi come come White powder dream, Both of you, Don’t believe, Otis, pur non disdegnando divagazioni in tema come nello strumentale Mugello’s theme o il più tradizionale I’ve been e lo psychobilly di B-side. I Funny Dunny non vanno per le lunghe, saldano il proprio debito con il rock’n’roll, e voi, trangugiati gli undici pezzi in un unico sorso, non sorprendetevi di ritrovarvi già ubriachi alla conclusione della mezz’ora con una travolgente She said yeah rifatta à la mode degli Stones. Se capitano dalle vostre parti non potete assolutamente perderli, ma soprattutto cercate di fare vostro questo piccolo gioiello (anche in versione LP) di casa nostra che non ha niente da invidiare all’erba del vicino. L’ex-presidente è caduto, di Sound System e posse neanche più l’ombra, il garage punk è vivo e in ottima salute. Missione compiuta ragazzi.
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