Valter Monteleone Hill Park
Valter Monteleone, jazzista sessantaquattrenne di Castellaneta (ma toscano di nascita), è un'artista che negli anni ha maturato esperienza, tecnica e gusto e li sfodera tutti in quest'opera solista nel vero senso del termine. Infatti nelle varie tracce del disco Monteleone si cimenta con tutte le chitarre (elettrica, acustica a 12 corde, classica), con tutte le tastiere (piano, organo, sintetizzatori), al basso, alla batteria e a diverse percussioni. Si parte con Bossando, il cui titolo è tutto un programma: suggestioni alla Jobim, artista citato dallo stesso Monteleone nelle note del bellissimo, ricco e completo libretto a corredo; ma non solo: perchè non anche Jorge Ben, Chico Barque, Toquinho. I sei minuti di Castle, costruiti su un'imprevedibile giro di basso, sempre cangiante, evocano le atmosfere di quelle bands inglesi che contribuirono a gettare le basi del progressive rock, come Moody Blues, Procol Harum e Colosseum.
Atmosfere che ritroviamo anche nella successiva Hill Park, che dà il titolo all'album, soprattutto per via dei timbri di un organo ficcante molto Procol Harum, anche se siamo di nuovo sul latin-jazz nelle ritmiche. Le due tracce appena citate sono anche le uniche due cantate, con un timbro caldo e suadente che non può non far tornare alla memoria indimenticati e grandi crooners italiani come Fred Bongusto o Nicola Arigliano. Da qui in poi, con Gardens, molto tastieristica, giocata tra i timbri dell'organo e del sintetizzatore, con la successiva Senliss106, più pianistica, e con gli stacchi tecnicamente non facili sul piano esecutivo della conclusiva Jumpinjazz, ci snodiamo tra territori jazz rock ed acid jazz. Meno di mezz'oretta di album che dal punto di vista tecnico e formale ha certamente da dire la sua, e sul piano creativo forse non dirà nulla di così sorprendentemente nuovo e originale, ma lo fa con tanta grazia e tanta classe da scorrere via gustosamente, lasciando piacevoli ricordi all'ascoltatore.
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