fermoposta.it → inviati dalle band
Migliora leggibilitàStampa
1 Marzo 2015 ,

Flying Disk CIRCLING FURTHER DOWN

2014 - Taxi Driver Records, Rude Records, Dreamingorilla Records

Flying Disk CIRCLING FURTHER DOWNPrimo album per il giovane trio fossanese alle prese con una scrittura rude e una realizzazione particolarmente aggressiva. Che in questa musica del martello l’originalità non sia il tratto distintivo dominante lo si percepisce al primo ascolto; gli otto brani sembrano infatti rappresentare ognuno una maniera diversa con la quale la band sembra cimentarsi. Si va dal Math allo Hardcore senza alcuna soluzione di continuità e soprattutto senza alcuna gerarchia. L’unica cosa che sta veramente a cuore dei Flying Disk è attaccare in modo diretto l’ascoltatore quasi fosse la vera controparte del rumore organizzato di “Circling Further Down”. È divenuto rituale e insipido, quando si parla di decibel elevati, il sintagma muro-di-suono, una metafora talmente logora che ormai non suggerisce più nulla e non lascia nel lettore che una vaga sensazione di deja vu. Eppure Flying Disk prende sul serio l’espressione e prova realmente a spalmare il viso dell’ascoltatore sulla coltre sonora prodotta, ma in alcuni casi l’effetto è talmente superficiale che basterebbe girarsi di spalle per far crollare il muro. È ad esempio la sensazione che abbiamo provato durante l’ascolto di Recycled Plastic – mai titolo più adatto – un pastiche tanto potente quanto evanescente di funk e hardcore: una vera e propria macchina per il riciclaggio. Non stupisce che l’effetto sia piuttosto plasticoso. Abbiamo poi il capitolo sedicente post-grunge, al quale potremmo ascrivere in effetti tutto il disco, ma al quale appartengono sommamente No Dead In My Lawn e I don’t Feel Anything che sono dei veri e propri brani-scrigno degli anni ’90 sub specie rock con qualche venatura garage.

 

Tuttavia, come Three as Seven sta lì a testimoniare, la sezione ritmica appare solida e precisa e sentiamo spesso una tensione verso lidi più grind o addirittura death che una chitarra più riflessiva e trasognata non sembra voler frequentare; o meglio come in Scrape in the Bottom (qui compare il verso che dà il titolo al disco) la chitarra insiste su ossessioni e melodie malinconiche che vorrebbero rendere più rarefatta l’aria, creare qualche falla nel muro di suoni eretto furiosamente dalla band. Ma l’aria continua, al contrario, a farsi satura di tante, troppe, citazioni. Valga come esempio Disconnect nella quale un riff à la Led Zeppelin si alterna con un’attitudine tipicamente noise. Il risultato sarebbe anche godibile se poi non si arrivasse a strafare trasformando la citazione in sperimentazione a buon mercato tra scream discutibili e tentativi ritmici vecchi già nel 1964. Ad essere particolarmente affettata risulta la componente vocale: il timbro alla Cornell delle Langhe e la sua linea monocorde sono a tratti mirabilmente straniati dal resto come un'etichetta apposta su un contenitore vuoto. È forse questo il limite più grande di questa opera d’esordio che non convince fino in fondo, che non stride come vorrebbe e che è indice di una maturità ancora da acquisire per il trio di Cuneo dal quale, visto l’elevato tasso tecnico, ci aspettiamo molto di più in futuro.

Luca Gori

Audio

Video

Inizio pagina