Sakee Sed Ceci n’est pas un EP
Il tira frecce mentale di similitudini è il becero giochino di chi scrive di musica. Per ascoltare i Sakee Sed bisognerebbe riprendere qualche vinile dei Foggy mountain boys frullati con dosi di garage pre-punk - un raw power, forse uno psychedelic lollipop, meglio ancora are you experienced di Hendrix - strizzati con un po' di cicuta da provincia rock paranoica scivolando sui primi CCCP. Nascono qualche anno fa, precisamente tre, almeno disco graficamente: “Alle basi della Roncola” era l'avvisaglia di quella provincia fatta di marzapane che vuole emergere, ma che non la spunta mica. Un giro di poker perso già in partenza con una doppia coppia all'amo. Insomma, far passare per Nashville Bergamo è cosa assai ardua, ma a ognuno il suo sogno imperscrutabile. Assetati e poco remissivi, il duo polistrumentista Ghezzi/Perucchini cresce con “Bacco”, un EP uscito nel 2011 che nel tira frecce della critica ci casca in pieno, ma senza il rischio di cadere con le natiche sul braciere.
Esplode così una voglia che dal bluegrass DIY decide di commuovere il prossimo, mutuando quella rabbia che la storia ha già vissuto: ascoltatevi la title track che smiela freeform à la Pixies e ditemi se non vi ricorda il lato A di “Fun House”, plasmando rock di primogenitura e punk embrionale. L'approccio alla struttura canzone è più preciso, nella quadra degli elementi si trova spazio per sperimentare, ma trasuda ancora la tradizione Grand Ole Opry-Bergamo. Arriva un regalino nel 2012 e si chiama “A piedi nubi”: è la maturità o quella cosa che sta in mezzo tra la segatura nel cervello e la saggezza, certamente di levatura psicotica si tratta. Il disco esce di maggio, un maggio piovoso, e una canzone come A piedi nubi disegna bene quello stato d'animo, tra il bagnato e la voglia di brasare al sole. Anche i testi migliorano, meno approssimativi, più incisivi e la trama strumentale si infittisce sovrapponendo ad una psichedelia leggera le pestate arcigne hard rock. Ora, cosa ci si può aspettare per un quarto lavoro, dopo questi presupposti? Perizia sicuramente, e tanta volontà, e poi la strada che dalla segatura porta alla saggezza è ancora lunga.
A fine Aprile 2013 esce “Ceci n'est pas un EP” in cui il duo si circonda di qualche amico/a e prova a sganciare la bomba H sull'Italia. Sei tracce che non traducono i misteri del songwriting, che quindi lasceremo ad abbronzarsi dietro quegli occhiali da sole tratteggiati in copertina e quel titolo che quasi cita Magritte. Il progetto Sakee Sed ancora una volta fa un passo avanti. Alla psicologia di Boccaleone viene in aiuto la ritmica persuasiva e la chitarra tamarra. Al reggae incanalato nel delay dry di Il mio altereggae subentra una melodia lunga e progressiva (ti han fregato gli anni 80, spazzatura da falò). Alla ginnastica verticale di Metal zoo fa capolino la rabbia crossover in hangbanging. Al cancro bloccato di Olderifa Express abbocca un lento che non poteva mancare. Le due tracce finali potrebbero essere un'unica ed è proprio dal crinale di questi 18 minuti che consiglierei di ripartire: gli starnazzi e i cori approdano a un fischio beat, il testo di Strappi Bianchi è bello perchè stavolta l'intimità diventa caleidoscopica e non più rivolta sul proprio ombelico; dirimpetto la chitarra puntellata fa all'amore col piano che sdrucciola pericolosamente verso la gloria. Qui l'intemperanza si chiama duttilità.
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