Veronica Falls WAITING FOR SOMETHING TO HAPPEN
[Uscita: 4/02/2013]
Il quartetto Londinese dei Veronica Falls, dopo un buon debutto con l’Lp omonimo del 2011 arrivano al secondo disco affidandosi alla produzione di Rory Attwell (The Vaccines e Male Bonding) e mai titolo fu più azzeccato. Sì perché “Waiting for something to happen” è un po’ come quei finti pacchi bomba dove senti il ticchettìo, in alcuni momenti si’ fa più assordante, sembra che stia per esplodere e poi non succede nulla. Così, la traccia di apertura Tell me parte bene con un bel solo di chitarra che la rende un perfetto brano indie-pop per poi passare alla malinconia del primo singolo estratto, Teenage. Il resto è un altalenare per tutti i trentasette minuti del disco tra queste due tendenze, brani un po’ più cadenzati con la punta di My heart beats, il brano più di stampo surf di tutto il disco, alternati a brani più malinconici e rallentati come Shooting star (personalmente la mia preferita anche se sin dal primo ascolto mi dico “Io questa l’ho già sentita” ed in effetti questa sensazione un po’ mi resta per tutto il disco).
Ci sono punte un po’ più alte come If you still want me e la stessa title-track, ballads come Daniel che sembra una canzone dei Tender Trap con voce maschile e concludiamo con l’episodio più lungo di tutto il disco, Last Conversation (quasi quattro minuti contro una media che a malapena arriva i tre) che lascia intravvedere uno spunto noise-pop decisamente interessante quasi a confermare “ecco dai, ci siamo, adesso svolta”, salvo però terminare lasciandoti con le stesse perplessità. Insomma, un disco che sembra costruito su due binari e su quelli, per tutta la durata, corrono i tredici brani, senza però discostarsene e con la risultante di appiattire un po’ il tutto. La voce della chitarrista Roxanne Clifford si integra perfettamente con quelle di James Hoare e Patrick Doyle (rispettivamente chitarrista e batterista) in una combinazione perfettamente riuscita di indie-pop che probabilmente era esattamente ciò che i loro fans si aspettavano ma che inevitabilmente risulta un po’ monotono.
Se nel primo disco si erano notate delle spigolosità garage, una certa propensione all’oscurità e qualche venatura punk, qui la svolta è decisamente verso le girly band anni ’60, dei Belle & Sebastian giovani e più moderni, le Dum Dum Girls e Vivian Girls (ma anche le Shop Assistants della metà degli anni ’80) con le stesse linee melodiche ma senza la marea di feedback che annegano il tutto e una certa predilezione per una malinconia adolescenziale, evidenziata anche nei testi, che attraversa tutto il lavoro. I suoni sono vintage ma pulitissimi e ci sono tre/quattro canzoni che tranquillamente potrebbero far parte di una compilation indie del momento. Certo che però è un po’ pochino per uscire dall’anonimato di quell’indie-pop di stampo British che nell’ultimo anno ha riempito il web, parlo di Allo Darlin, The School (i migliori eredi di Belle & Sebastian insieme ai Camera Obscura) TV Girls e altri. Insomma, un buon disco per gli amanti del genere che fa passare una mezz’oretta piacevolmente distensiva ma che non segna una svolta in avanti, piuttosto getta i nostri in una mischia già fin troppo affollata. Da rivedere.
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