Slowdive SLOWDIVE
[Uscita: 05/05/2017]
Inghilterra
In questi ultimi anni abbiamo assistito alla rinascita (o anche solo al ritorno) di una serie di band britanniche (e non) di culto degli anni ’90 d’impronta shoegaze (My Bloody Valentine, Lush, Ride), fino al ritorno in studio dei Jesus & Mary Chain. Pare evidente la voglia e la necessità da parte dell’industria discografica di avvolgersi su se stessa e ritornare a proporre sonorità con protagonista un elemento attualmente poco in uso (ad esempio nella musica mainstream diffusa dalle radio): le chitarre. In questa ottica non poteva mancare, e neppure stupire, il ritorno in studio degli Slowdive, band seminale di Reading a distanza di oltre vent’anni dall’ultimo e un po’ stanco “Pygmalion”. Il lavoro, che si intitola semplicemente "Slowdive" è esattamente quello che ci aspettavamo di ascoltare da loro, quarantasei minuti di atmosfere eteree, ipnotiche, sospese tra l’onirico ed il cinematico come nei quasi sette minuti dell’iniziale Slomo (in tutto il suo splendore alla Cocteau Twins). Più elettriche e ritmate le successive Star roving (certo non un brano capace di suonare nuovo, ma comunque solido nella sua struttura), Don’t know why, Everyone know, passando per Sugar for the pill , con il basso di Nick Chaplin in buona evidenza.
Atmosfere oniriche anche nel resto del disco, che si conclude con gli otto minuti di Falling ashes, brano in cui un drone minimale di pianoforte acustico riesce nell’impresa di risultare più insinuante ed ipnotico delle chitarre e dei synth. Il disco è stato registrato agli studi di Courtyard nell’Oxfordshire, missato ai Sunset Sound di Chris Coady a Los Angeles e risulta, alla fine, essere il giusto punto di ripartenza di un discorso interrottosi troppo tempo fa: sonorità che continuano, a giudicare dai riscontri dei live e della rete, a riscuotere successo e consenso, forse anche maggiore di venti anni fa. Slowdive è un positiva conferma per chi segue la band dall’inizio ed un’ottima occasione per conoscerla ed apprezzarla per chi vi si avvicina per la prima volta. Non una classica operazione nostalgia ma un fresco ritorno sui propri passi.
Personaggio davvero caleidoscopico il signor Neil Halstead. Ma chi è lui in realtà? È il leader, la mente creativa, il regista, il produttore di quel mitico gruppo nato negli anni 90, gli Slowdive? Oppure tout court é gli Slowdive, anzi lo Slowdive, quell’artista narcisista e presuntuoso che ad un certo punto butta fuori batterie e tutto il resto e dice “faccio tutto io, voi siete inutili” e partorisce un miserando Pigmalione ?
Oppure ancora è la mente dei Mojawe 3, gruppo indie neo psichedelico un po’ banalotto dalla non spiccata personalità e dalla produzione discontinua? Oppure è Neil Halstead, crooner folkeggiante che ha ascoltato (un po’ troppo) Nick Drake?
Non ho dubbi, la prima è la buona. Neil si è reso conto di aver commesso una solenne idiozia ed è tornato a Canossa, ha rimesso insieme più o meno i pezzi dei “veri” Slowdive ed il risultato è questo: ottimo.
Come se non fosse passato un solo giorno, di nuovo a catturare la brezza come ai vecchi tempi.
Spero che in futuro abbandoni i suoi progetti velleitari e continui a regalarci dischi come questo, non buttando più fuori il batterista ma solo il pessimo grafico che produce cover da quattro soldi.