Iceage PLOWING INTO THE FIELD OF LOVE
[Uscita: 07/10/2014]
Danimarca # Consigliato da Distorsioni
Gli Iceage sono un caso paradigmatico di band data in pasto all’hype, selezionata quando ancora era sconosciuta da un’etichetta importante, più o meno plasmata ai gusti del mercato, presentata come un’epifania e infine gonfiata da molti addetti ai lavori (il sempre meno credibile Pitchfork su tutti). Tutto questo percorso era iniziato dopo il primo, grezzo e più che mai rude, lavoro in studio (“New Brigade”), proseguito con la loro seconda uscita (“You’re Nothing”) e culmina con questo “Plowing Into The Field Of Love”. Ed eccoli dunque trovati i nuovi capofila dell’underground, dell’alternative-rock, dei giovani vogliosi di rock and roll e di incazzarsi. In realtà, già quando uscì You’re Nothing, ovvero l’anno passato, non tutti caddero nella trappola, non chiunque gridò al miracolo. Anzi. Tuttavia, bisogna cercare di non essere influenzati nell’analizzare il disco licenziato il sette ottobre scorso dalla Matador; né dall’esaltazione collettiva dei quattro danesi, né dalla reazione distruttiva dei puristi, refrattari a questi gruppi devoti più all’apparenza che all’essenza. Non chiamateli più punk, in primo luogo, visto che di punk hanno lasciato poco nella propria composizione che, arrivata al terzo episodio, si arricchisce di nuovi e molteplici impulsi, conservando solo un approccio estremamente ruvido e chitarre spesso graffianti.
Poi c’è molto altro, però. Si arriva addirittura a sfiorare country e rockabilly in uno dei quattro singoli che hanno anticipato la pubblicazioni dell’album, ovvero quel The Lord’s Favorite che è anche uno dei brani più deboli dell’intero lotto. Ma anche la presenza di moltissimi elementi che nulla hanno a che fare col punk in senso stretto e che, anzi, dimostrano come gli Iceage abbiano ampiamente superato il genere da cui il loro percorso ha preso le mosse. Insomma, i violini (Against The Moon), le trombe (Forever), il piano (On My Fingers per ridurci ad un solo esempio) e alcune architetture pompose parlano chiaro e ci spingono a definire i suoni dei danesi post-punk e post-hardcore. Dalla voce di Elias Bender Ronnenfelt partono schegge e graffi (se non pugni) più che melodie. In alcuni episodi è più che convincente, uno strumento aggiunto che ottimamente si inserisce nell’amalgama creata dai compagni (Glassy Eyed, Dormant And Veiled ne è il punto di massima lucentezza), in altri ricorda crooner moderni, più King Krule che Nick Cave.
L’attitudine noise che caratterizza gli Iceage fin dall’esordio contribuisce a creare un velo di inaccessibilità intorno a questo disco. E parliamo di un velo perché al primo approccio Plowing Into The Field Of Love pare davvero impenetrabile, ma col passare degli ascolti il velo si riduce a patina e poi rimane soltanto un’impressione, senza cancellare il fatto che con un ascolto superficiale non si riuscirà ad apprezzare questo lavoro. Così, tra brani dimessi (Against The Moon), ballate ottimamente riuscite (Forever, brano migliore della tracklist), tracce ripetitive (Let It Vanish, Simony) e carenze di ispirazione (abbiam già detto di The Lord’s Favorite), gli Iceage non sconfiggono i fantasmi che aleggiano su di loro. Questo album è comunque un notevole passo avanti rispetto a You’re Nothing visto che, come detto, le miscele sono piacevolmente variegate, anche se non sempre perfettamente equilibrate, e la scrittura è migliorata rispetto al passato.
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