Jesse Malin OUTSIDERS
[Uscita: 09/10/2015]
Stati Uniti #consigliatodadistorsioni
Jesse Malin, cantautore americano (è nato nel Queens il 26 gennaio 1968), dopo una pausa creativa di cinque anni ha pubblicato due dischi nel giro di sei mesi: “New York before the war” a marzo e adesso questo “Outsiders”. Si è rinchiuso in uno studio interamente costruito in legno, ed ha inciso di getto, di notte, undici canzoni che presenta come le più introspettive e autobiografiche che abbia mai composto: “il mio stesso funerale”, dichiara.
Tutt’altro che funereo però è il tono del disco: la title track apre il disco con un classico stomp alla Bo Diddley, le chitarre sferragliano che è un piacere, le origine punk di Jesse non sono dimenticate (anzi sono glorificate con una stupenda cover acustica di Stay free, una delle più belle canzoni dei Clash). La prima parte del disco è scoppiettante, ritmata, con un tiro notevole che conquisterà i rockettari più incalliti. Anche una ballata come San Francisco mantiene alto il ritmo, senza cadute di tono, in Here’s the situation la chitarra lancinante di J Mascis è il valore aggiunto.
Poi ritmi e atmosfere cambiano. Edward Hopper, la dedica non ha bisogno di spiegazioni (a meno che ci sia ancora qualcuno che sottovaluti il geniale pittore di Nighthawks), è funkeggiante e latina, con percussioni e organo. Society Sally e The Hustlers, basso in evidenza e ritmi sghembi, sono più assimilabili alla new wave che al classico rock americano, che torna in All bets are off, ballata languida con slide guitar. You Know It's Dark When Atheists Start to Pray smentisce il titolo, e chiude il disco in maniera festosa, con una bella sezione di fiati a rallegrare il pezzo. Nell’insieme il disco è valido, però patisce una certa mancanza di uniformità.
Jesse Malin si mostra come musicista eclettico; in un’opera dichiaratamente autobiografica vuole rendere omaggio a tutte le musiche che lo hanno influenzato. Una maggiore uniformità stilistica avrebbe giovato, ma anche così la qualità della scrittura è buona e il disco non annoia mai. Non possiamo dire, come fece un celebre collega, di aver visto il futuro del rock’n’roll, trattandosi comunque di un musicista giunto all’ottavo disco, ma di aver passato tre quarti d’ora piacevoli, in compagnia di un rocker onesto e genuino sì.
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