Tyvek ON TRIBLE BEAMS
[Uscita: 13/11/2012]
# Consigliato vivamente da DISTORSIONI
Quarto album in studio per la band capitanata dal vulcanico Kevin Boyer, e primo autentico tentativo di far centro pieno dopo la bella prova di “Nothing Fits” (2010). Non ci sono rivoluzioni alle porte, da queste parti, stiano tranquilli i fan di lunga data dei Tyvek. Qualcosa di diverso, però, lo si avverte: “On Triple Beams” ha un feeling strano, inaspettato, piacevole, in grado di proiettare il disco oltre la media delle produzioni del genere. La formula dei Tyvek, un irriverente garage rock filtrato da una vena post-punk di origine Wire & Feelies e ridotto in brandelli dalle abrasività noise di casa Flipper, sembra aver trovato in “On Triple Beams” la sua (quasi) completa affermazione. Grazie a una produzione azzeccatissima, lo-fi quanto basta e “live” da far impazzire: così tanto che si ha la sensazione di ascoltare la band durante le prove nel garage di casa Boyer. E, ancor prima, grazie a un bel salto di qualità a livello di songwriting. La bella vena wave-noise che percorreva sottotraccia i primi lavori diventa ora elemento determinante del suono dei Tyvek, che ne acquista in freschezza, originalità e pericolosità.
Prendete ad esempio la traccia di apertura, Scaling, con quel riff circolare e tagliente che la percuote per tutta la sua lunghezza e quella voce che vi si impone irriverente e piacevolmente decadente. Il pezzo sembra non esplodere mai: o meglio, la sensazione che lascia è quella di un'esplosione continua, acuita dalla presenza di un assolo grezzo e rumoroso piazzato giusto in mezzo al pezzo. Si viaggia su minutaggi mai raggiunti prima (4:46; viene in mente solo la bella Outer Limits, da “Nothing Fits”) ma il pezzo scorre che è una bellezza. Say Yeah è una perla, un garage punk noise dal feeling molto '77, con un ritornello aggressivamente catchy. Little Richard, poi, costruisce edifici punk noise su territori rock'n'roll, devolvendo a un riff semplice e ripetitivo il compito di rifilare le giuste rasoiate nei punti giusti. City of A Dream è un altro capolavoro di semplicità rock'n'roll, che forse avrebbe meritato qualche mezzo minuto in più per dare quanto prometteva, mentre Wayne County Roads ripercorre le strade del proto-punk con l'irruenza e la verbosità di una band garage punk. Con Efficiency, sul finale dell'album, si torna a cavalcare minutaggi alti, sporcando di rumore, decadenza post-punk e sborrate free jazz uno stanco mid-tempo altrimenti anonimo. Si conclude con Returns, un riuscitissimo punk-noise dal feeling Oi!, e noi ce ne andiamo a casa sperando che la strada intrapresa sia ancora lunga e costellata di sorprese.
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