Ty Segall & White Fence JOY
[Uscita: 20/07/2018]
Stati Uniti
Ty Segall sforna album per ogni stagione. Aveva aperto le danze all’inizio dell’anno con il pluriacclamato “Freedom’s Goblin” e tornerà in autunno con l’album di cover “Fudge Sandwich” (via In The Red Records); inoltre il 28 settembre avrà un seguito il progetto GØGGS, “Pre Strike Sweep” (anche se l’album è già uscito, sempre per In The Red, in versione digitale il 7 settembre) in cui Segall suona la chitarra. Nel frattempo Segall si è preso la briga di tornare sul luogo di uno dei tanti delitti e di riproporre la sua collaborazione con Tim Presley, aka White Fence (titolare del moniker W-X, e co-proprietario della sigla DRINK insieme alla gallese Cate Le Bon). A 6 anni fa risale la prima opera condivisa del duo, quel bistrattato ”Hair” che a ben vedere fu un punto di svolta seminale più per la carriera di Segall che per quella di Presley, quando il biondo di Laguna Beach decise di abbandonare le venature di rock’n’roll crampsiano per abbracciare la commistione di hard-rock, folk e garage-rock psichedelico che trovò massima espressione in dischi come “Twins” o “Manipulator”.
Ci riprovano i due, come se nel frattempo niente fosse cambiato: Ty Segall ha avuto la sua consacrazione di reuccio dell’indie-rock dal mondo della musica alternativa, Tim Presley ha deciso una strada più ostica, destinando il suo songwriting multiforme in un ostico linguaggio dada (i due dischi usciti a nome DRINK e “The Wink”, disco solista uscito con il proprio nome nel 2016).
Il risultato riesce ad emulare il sound di “Hair” facendo di “Joy” uno zoppicante e sghembo erede del suo predecessore. Fin dai primi accenni si capisce dove si vuole andare a parare, ovvero nei recessi freak-folk in cui Presley e Segall hanno sguazzato per anni, mondati per l’occasione da ogni lerciume lo-fi e resi in una produzione più che dignitosa. Lontani sono gli stridii e i gemiti a bassa fedeltà di “Hair”: ecco un nutrito gruppo di “canzoni” (ben 15, per una mezz’ora scarsa di musica) caratterizzate da un cupo grigiore compositivo.
Paradigmatica l’iniziale Please Don’t Leave This Town: chitarra acustica, doppie voci, batteria claudicante, chitarra elettrica atonale, melodie ispirate da Syd Barrett. Questo schema si ripete in maniera piuttosto omogenea (Body Behavior, A Nod, Do Your Hair, Tommy’s Place), interrotto da misteriosi intermezzi (Beginning,Room Connector, Rock Flute, Prettiest Dog) oppure quando al formato canzone il duo affida divagazioni free-rock (Good Boy, Hey Joel Where You Going With That) o una veste punk (Grin Without Smile, OtherWay). Altrove Segall e Presley tornano al binomio soft/hard-rock di “Hair” (She Is Gold) con buoni risultati. La conclusiva My Friend sotterra l’ascia di guerra e richiama i fasti del Ty Segall acustico di “Sleeper”, senza emozionare granché. Una prova piuttosto insipida il cui unico punto di forza è quello di non scoprire troppo né l’uno né l’altro. Per alcuni è un pregio, per noi no.
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