Sinead O'Connor I’M NOT BOSSY, I’M THE BOSS
[Uscita: 11/08/2014]
Sinead O'Connor: una vita intera trascorsa sul filo molto sottile di una non troppo velata provocazione. Sfociata in episodi ormai noti come l'apparire calva in pubblico o strappare foto papali. Tutte ciò è servito soltanto ad intaccare e mettere meno in risalto le sue capacità artistiche che non sono mai state affatto disprezzabili. Diciamo pure che lo erano visto che non azzecca un disco buono da tempo immemorabile. Il nuovo disco, lo diciamo subito, è molto brutto, in alcuni momenti addirittura inascoltabile: di cattivo gusto anche la foto in copertina, che vorrebbe lanciare il nuovo look rock dell'artista, ma che riesce solo ad essere patetica. Un senso d'irritazione pervade l'animo ascoltando una dopo l'altra le 12 canzoni, 15 nella inutile deluxe edition. Questo nuovo disco era stato introdotto da un singolo terrificante, Take me to the church che sembrava dire "guardate come s'è ridotta la vostra Sinead". Ma in questo album c'è anche di peggio, se vogliamo. James Brown, How about I be me, Where have you been sono tutte canzonette di bassa lega, da censura immediata. Sono passati 26 anni da quel bel disco d'esordio che era "The lion and the cobra" (1988), due in meno da "I do not want what I haven't got" (1990) ma quella brava interprete e compositrice sembra ormai persa irrimediabilmente.
Sia chiaro, questo ultimo disco, pessimo ancora più del suo titolo, è solo la punta dell'iceberg, la lunga discesa verso il fondo dell'irlandese è iniziata già da molto tempo. Nel 2014 rimangono briciole d'ispirazione e quelle dobbiamo raccogliere, per garantire la sopravvivenza artistica della O'Connor. E quindi quello che abbiamo sono giusto 2-3 canzoni, dove i ridondanti arrangiamenti fanno meno danni. The vishnu room, che quantomeno fa risaltare la sua sempre splendida voce, e le due ballate, leggermente disturbanti, Harbour e The voice of my doctor. Ma sono poca, pochissima cosa, qui nell'insieme siamo al pop da classifica più becero. Come è noto Sinead sul finire del millennio aveva fatto una retromarcia a 360 gradi, dichiarando al mondo intero di volersi fare suora e seguire solo gli insegnamenti di Dio, abbandonando di conseguenza la musica. Ma la strada della redenzione musicale per l'irlandese sembra essere in salita, una enorme montagna da scalare. Impossibile per lei vederne la cima.
Mi sono sempre chiesto se per scrivere una buona recensione sarebbe meglio che il recensore non sapesse nulla dell’opera (e dell’artista) che giudica, o al contrario fosse necessario avere una preparazione specifica, un po’ all’americana mi verrebbe da dire. Qui siamo in provincia e l’approccio si sa… è quello che è. Molti recensori neanche ascoltano i dischi, non vedono i film, e non vanno a vedere gli spettacoli teatrali. Poi adesso spesso i recensori sono stagisti e precari poco motivati.
Non che dica che questo è uno di quei casi.
Almeno i titoli citati sono tutti giusti. Magari farei fatica a definire The voice of my doctor una ballata…
Ma forse io ho un’idea sbagliata di quello che dovrebbe essere una ballata, il che può essere certamente.
E poi, tornando a riflessioni astratte, mi chiedo quanto un recensore debba scrivere secondo il proprio gusto, o cercando di dare una distanza “professionale” alle sue analisi?
Non sono un giornalista, ne un musicista, ma ritengo di essere un appassionato di musica “professionista” :-) La mia sterminata collezione di vinili e cd (spalmata su ogni genere e periodo) credo mi permetta di esprimere qualche parere circostanziato, se non altro per ore d’ascolto accumulate.
Scrivendo della O’Connor penso di essere più vicino alla posizione di “quello molto informato” sull’opera e sull’artista, e decisamente sono da sempre un suo estimatore, quindi si potrà dire certamente che il mio parere è di parte.
Rispetto alla recensione appena letta, e che mi lascia abbastanza sorpreso, mi piacerebbe sapere su quali basi il disco viene definito “molto brutto, in alcuni momenti addirittura inascoltabile”?
A me questo lavoro, pur con un avvio forse troppo fiacco, mi pare un buon lavoro, ben suonato, ben prodotto, e ben interpretato. Soprattutto la seconda metà del disco mi sembra contenga brani veramente notevoli e la il tentativo di fare (soprattutto vocalmente) cose nuove, sia per scrittura che per interpretazione. Trovo la O’Connor in ottima forma (dimostrata di recente nella prima tappa live italiana).
Ovviamente ognuno è libero di pensarla come vuole, ma ho l’impressione che la stroncatura di questa recensione sia veramente esagerata e senza motivazioni evidenti. Al peggio mi aspettavo che venisse definito come un disco di pop dignitoso, che magari aggiunge poco, ma che finalmente ci riporta un’artista grintosa e viva.
Per altro leggo recensioni piuttosto positive su molti siti e giornali stranieri.
Mi viene da pensare a come negli anni novanta i critici italiani si divertissero a massacrare i dischi di Prince e Tori Amos, dischi che oggi spesso vengono portati ad esempio come capolavori o inseriti come pietre miliari su pagine di siti autorevoli.
Il disco della O’Connor probabilmente non è un capolavoro, io lo ritengo un lavoro di transizione dal bel ritorno di due anni fa a qualcosa che probabilmente verrà nei prossimi.
Ci troviamo comunque a che fare con un’artista straordinaria che ha reinventato il modo di cantare al femminile dagli anni novanta in poi, e che ha avuto il coraggio di non stare mai dietro ai calcoli di una carriera.
Io personalmente ho sempre amato questa donna proprio per il suo essere senza filtri, assolutamente vera (con le sue ricchezze e i suoi abissi), e alla fine, a ben vedere, sempre con una coerenza di fondo.
Rispetto al presunto cattivo gusto della foto usata per la copertina, credo che non si sia colto l’intento ironico del travestimento… visto che la O’Connor non sembra interessata a nessun lancio di nuovi look rock… Infatti continua ad apparire in pubblico come dal 1987 con la testa rasata e un abbigliamento assolutamente comune, tranne che per qualche brutto (quello si) tatuaggio.
Poi se volessimo aprire un dibattito anche sulle presunte stramberie dell’artista, ci sarebbe molto da raccontare e sviscerare.
Per esempio la foto del papa venne strappata all’epoca dei primi scandali in Irlanda di preti pedofili che il vaticano negava, nascondeva o giustificava. Venne strappata alla fine dell’interpretazione di war di Bob Marley che contiene versi precisi sull’argomento, che O’Connor sottolineò con estrema determinazione.
L’eclatante denuncia le costò molto cara, forse venne fatta con modalità avventate e istintive, ma fu un gesto coraggioso. Quanti artisti sono pronti a pagare prezzi così grandi?
Caro sign.Martinelli lei scrive: “…per altro leggo recensioni piuttosto positive su molti siti e giornali stranieri”. Ecco, mi permetta di dirle che noi di Distorsioni non siamo abituati a scrivere di un disco dopo averle lette, ed a regolarci-adeguarci in base al loro contenuto. Siamo del tutto indipendenti nei nostri giudizi, che possono essere discutibili quanto si vuole, ma del tutto esenti da ‘marchette’ qualsivoglia e da adesione all’aria che tira. Io poi come direttore art.edit. per quanto a volte mi trovo a smussare ed arrotondare gli scritti dei miei collaboratori sono tenuto a rispettarne deontologicamente i giudizi, e a non rovesciarli solo per paura che ne possa venire un danno all’immagino del sito. La saluto cordialmente
pasquale wally boffoli
dir.art.edit.distorsioni
Penso che il disco, pur non riportandola agli splendori dell’esordio, focalizzi un momento di ritrovata grinta, di affermazione di presenza (io ci sono, ironicamente, anche). Mi sembra sia tornata per Sinead la voglia di far musica in maniera molto diretta, e questo, per un’artista come lei è sempre un bene. Il 6 e mezzo di O’Connor vale molto più di un voto uguale di chi in carriera ha sempre, mediocremente detto poco, perché è un 6 e mezzo (mio) paragonato a lavori di grande livello. Poi, una come Sinead la ami anche per stramba onestà. Qualità rara, nell’industria della plastica.
Quando capisci poco di musica scrivi recensioni cosi’. Vergogna