Holy Mountain ANCIENT ASTRONAUTS
[Uscita: 07/04/2015]
Scozia # Consigliato da Distorsioni
Una colata lavica. Un fuoco oscuro che prende possesso delle vostre orecchie e le satura per trentacinque minuti di maelstrom chitarristico: questo l'esordio sulla lunga distanza dei tre brutti ceffi di Glasgow che, ispirati dal maestro Alejandro Jodorowski, si fanno chiamare Holy Mountain. Questo ottimo "Ancient Astronauts" segue l’EP “Earth Measures”, uscito nel 2012 con ottimi riscontri. Niente più che un superclassico power trio a base di chitarra, basso e batteria, riffs al fulmicotone, voce filtrata, assoli ridotti all’essenziale con un suono piacevolmente “seventies”, qualche concessione alla psichedelia. Certo, nessuna novità: risuonano nomi noti, Black Sabbath, ovviamente, ma anche Karma To Burn, Motorpsycho e i misconosciuti Sleep, autori, tra l’altro, di un monumentale disco con lo stesso nome della band, “Holy Mountain”. Ma questo lavoro colpisce comunque, per potenza, perizia strumentale, ispirazione. I nostri tre scozzesi padroneggiano tanto i tempi lenti e maestosi, quanto quelli veloci, uscendo dal ristretto clichè “stoner” per lanciarsi nel mare magnum del buon vecchio hard rock.
Le intenzioni sono chiarissime fin dall’inizio: l’opener LV-42666 (è il nome dell’asteroide su cui atterra l’astronave del film "Alien", un omaggio che certifica l’amore dei nostri per la fantascienza) nei suoi due minuti abbondanti è una specie di riassunto di quello che ci aspetta, un assalto sonoro a base di chitarra e basso ultradistorti all’unisono in un rifferama mastodontico, batteria tellurica e voce stentorea in sottofondo. Segue Luftwizard, più lunga e articolata, su un tempo spezzato e intervallata da break strumentali dall’impronta psichedelica evidente. Arriva quindi la title track, dall’inizio maestoso, ma che gradualmente si gonfia in un’eruzione sonora devastante, quindi è la volta di Star Kings, ancora un trionfo di riffs tonitruanti, arricchito da un assolo. Tokyo è numero di alta scuola hard rock; Gift Giver: di nuovo una partenza rallentata dà inizio a un fuoco di fila di cambiamenti di tempo, pezzo magistrale. Ultimi due brani 100 Years A Day e Hollow Hill, che completano degnamente una tracklist senza la minima caduta di tono, rimanendo nelle linee sonore che abbiamo ampiamente illustrato. Nella playlist dell’anno, per il sottoscritto questo disco ha già il suo posto nelle prime file. Nell’attesa (o almeno nella speranza) di intercettare una delle loro esibizioni dal vivo, che pare siano di altissimo livello.
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