Pretenders ALONE
[Uscita: 21/10/2016]
Stati Uniti
Chrissie Hynde, splendida nei suoi 65 anni, è “Alone”, sola. Questo disco, in un primo momento, doveva uscire a nome della cantante di Akron, OH, ma durante la lavorazione anche il produttore, il concittadino Dan Auerbach (membro del duo Black Keys, attivo anche in veste di solista, e produttore sempre più affermato, nell’occasione anche chitarrista, tastierista, corista), ha ritenuto che le canzoni fossero adatte ad essere intestate ai Pretenders, benché il gruppo non esista effettivamente più, visto che neppure il (grandissimo) batterista Martin Chambers è stato convocato per l’incisione. Ma il tutto ha un senso, perché non appena inizia a scorrere, questo album si rivela il degno seguito dei primi tre (capo)lavori del gruppo capitanato da Chrissie Hynde: rock, ballate, classici mid-tempo alla Brass In Pocket, il brano che li lanciò alla fine del 1979.
Il disco si apre con la title track, un rock deciso punteggiato dal pianoforte e pieno di chitarre, reminiscente dei seventies più classici e scritto con Auerbach e Richard Swift (che in tutto il disco suona batteria, tastiere, chitarre e partecipa ai cori). Segue Roadie Man, dal passo indolentemente sensuale sul quale poggia la voce ammiccante, nel segno di quel primo, lontano successo: bellissima canzone.
Dopo questo uno-due capace di stendere il fan di lunga data, l’album prosegue con la breve Gotta Wait, tutta giocata su un ritmo più serrato, per approdare sui toni soul di Never Be Together, altro bel brano nel quale si distingue maggiormente il lavoro degli altri musicisti, tutta gente di grande esperienza e che risponde ai nomi di Duane Eddy e Kenny Vaughan alla chitarra, Leon Michels (tastiere) e Dave Roe, il bassista di Johnny Cash. Il primo lato è chiuso da Let’s Get Lost, piacevole e classico lento “alla Pretenders”. La seconda facciata è più uniforme, riflessiva, e viene inaugurata dalla brumosa Chord Lord, alla quale seguono cinque ballate dove la fanno da padrone le chitarre acustiche, la batteria spesso “spazzolata”, belle melodie, voce accorata, mood uniforme ma coinvolgente: Blue Eyed Sky, di matrice folk, splendida, The Man You Are, riflessione su cosa ci si aspetti da un rapporto, One More Day, che ricorda certe cose dei Los Lobos, il rimprovero alla propria gelosia I Hate Myself e la conclusiva Death Is Not Enough. Rimane solo il tempo di ricordare che la versione in cd comprende una bonus track, Holy Commotion, della quale il sottoscritto non avrebbe sentito la necessità, compresa nel digital download accluso alla versione in vinile. Bel ritorno.
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