Jim Jarmusch LA MUSICA DI JIM JARMUSCH - Parte 2 (1995-2009)
Pt. 2 (1995-2009): "Del mondo ho perduto ogni traccia"
Dead man (1995)
Il capolavoro Western Psichedelico che vede Johnny Depp come protagonista forse non avrebbe avuto la stessa capacità di penetrare a fondo nell'anima dello spettatore senza il contrappunto emotivo suscitato dalla chitarra onirica di Neil Young.
Il rocker canadese realizza un piccolo gioiello, improvvisando su di un pre-montato senza aver visto in precedenza il film; è lui stesso spettatore per la prima volta.
La sua interazione estatica e fluida provoca una profonda sinergia con il bianco e nero scelto da Jarmusch. La distorsione della sua chitarra impressionista copre l'intera gamma dinamica disponibile mantenendosi principalmente sul registro medio e basso, mentre attraverso l'uso massiccio di delay, reverbero e leva del tremolo amplifica ancora di più l'effetto allucinogeno del film.
Il tema portante affiora continuamente dai solo, intervallati dagli spoken estratti dalla pellicola, per poi delinearsi più nitidamente, quasi come una vera e propria song, nel lungo e narrativo Guitar Solo 5.
L'album si lascia apprezzare a distanza dalla visione che accompagna, calandoci in un clima edificato tanto dai fotogrammi trasmutati dalla memoria che dagli elementi personali rievocati dal proprio immaginario; il viaggio continua ... Jarmusch afferma di aver ascoltato continuamente alcuni brani di Neil Young (senza specificare quali) durante le riprese del film, ma che non avrebbe mai scommesso sul fatto che sarebbe stato proprio lui a comporne la colonna sonora. E quasi come per ricambiare il favore, nel 1997 Jarmusch realizza "Year Of The Horse", un documentario sull'attività live di Neil Young assieme alla sua band Crazy Horse.
Una curiosità: in Dead Man è presente anche Iggy Pop nel ruolo di una vecchia signora non proprio raccomandabile.
Ghost Dog (1999)
L'ennesimo picco creativo di Jarmusch narra la storia di un samurai afroamericano dall'evidente estetica hip-hop, interpretato da Forest Whitaker, che vive secondo il codice dettato dagli aforismi raccolti nell' Hagakure, vero e proprio viatico del guerriero al servizio del proprio daimyō (signore).
Il rigore di Ghost Dog nel praticare la "knowledge" richiama quella che, secondo alcuni esponenti (come Afrika Bambaataa), viene definita la quinta arte dell' hip-hop, dopo MCing, DJing, breaking e writing.
Una cultura, quella nata nel Bronx grazie soprattutto a figure come il giamaicano Kool Herc, il cui immaginario negli anni si è lasciato permeare da numerosi elementi provenienti dalla tradizione delle arti marziali, Kung-Fu in testa.
Coerentemente con l'essenza del protagonista, Jarmusch commissiona le musiche del film al rapper e producer RZA che, oltre alla colonna sonora, produce un'intero disco dal titolo "Ghost Dog – The Album".
Il tema di apertura è affidato allo strumentale Raise Your Sword, in cui un sottile spleen affiora e fluisce sul beat minimale dai richiami "abstract". Il brano, uno dei migliori, viene poi ripreso col titolo Samurai Showdown, nel quale il rapping di RZA ci accompagna nei titoli di coda.
Interessante anche Funky Theme, presente nella colonna sonora come strumentale, mentre nell'album prende il nome di Strange Eyes e ci viene servito con il feauturing di Sunz Of Man , 12 O' Clock e Blue Rasberry.
RZA è, tra l'altro, anche un membro del collettivo Wu Tang Clan, che deve il proprio nome a Shaolin & Wu Tang, un film cinese del 1981 basato sulla spettacolarizzazione dei combattimenti Kung-Fu.
Ed è tutto il Clan a firmare il minaccioso Fast Shadow, un altro dei pezzi più interessanti della colonna sonora. E come spesso avviene nelle produzioni di Jarmusch, nella pellicola sono presenti alcuni brani che probabilmente il regista deve aver ascoltato in fase di preparazione. Il primo è Armagideon Time (1978) di Willie Williams, uno dei brani più popolari in ambito roots-reggae e ripreso più volte e con nomi diversi da backing-bands giamaicane, come ad esempio The Sound Dimension, e in seguito coverizzato dai Clash ed usato come b-side per il 45 giri di London Calling.
Il secondo è Nuba (1979), brano dal forte potere evocativo del batterista avant-jazz Andrew Cyrille assieme al sassofonista Jimmy Lyons. Da notare che l'album omonimo è stato inciso per l'etichetta italiana Black Saint.
Per finire, il pezzo Cold Lampin With Flavor di Flavor Flav, dall'album "It Takes A Nation Of Millions To Hold Us Back" (1988) dei Public Enemy, viene canticchiato nel film almeno un paio di volte dallo stesso mafioso che accosta il nome Ghost Dog alla cultura hip-hop.
Coffee And Cigarettes (2003)
Caffè e sigarette consumate su dei tavolini con disegni a scacchiera e conversazioni surreali costituiscono il filo conduttore di questa raccolta di corti girati tra il 1986 e il 2003.
Coerentemente, la colonna sonora è una compilation eterogenea in cui troviamo Funkadelic, The Stooges, Skatalites, Tom Waits, Modern Jazz Quartet, Gustav Mahler e altri ancora; brani che, di volta in volta, vengono suonati dalla radio di casa o dalla filodiffusione di una hall d'albergo, dai juke-box dei bar oppure sembrano provenire dalla tromba delle scale.
Anche questa volta i riferimenti musicali sono più volte al centro dell'attenzione, vuoi per gli argomenti trattati nei dialoghi, vuoi perchè a conversare spesso troviamo dei musicisti.
Da qualche parte in un bar della California, Tom Waits e Iggy Pop sono impegnati in piccole provocazioni reciproche tanto che alla fine faticano a salutarsi amichevolmente. In un altro bar, i fratelli Jack e Meg, ovvero The White Stripes, cercano di capire che cosa è andato storto nel loro esperimento con la Bobina di Tesla.
Nikola Tesla viene descritto (giustamente) da Jack come uno scienziato rivoluzionario il quale, tra l'altro, vedeva la Terra come un conduttore di risonanza acustica, intuizione che verrà riportata anche nell'ultimo episodio.
Altro bar, presumibilmente a New York; GZA e RZA del Wu Tang Clan si imbattono in Bill Murray al quale consigliano un rimedio per la tosse a dir poco drastico.
Durante l'incontro di due incerti cugini viene reso un piccolo omaggio a Spike Jonze, autore e regista di videoclip per Beastie Boys, Bjork, Sonic Youth, Chemical Brothers e molti altri.
"Mystery Train" viene poi citato indirettamente più volte nel sarcastico episodio in cui, in un bar di Memphis, Steve Buscemi prova a convincere Cinqeé Lee, che nel film recitava al fianco di Screamin' Jay Hawkins, e Joie Lee (rispettivamente fratello e sorella di Spike Lee e figli del musicista Bill Lee) dell' esistenza di un fratello gemello di Elvis Presley.
Per tutta risposta Joie gli chiede se conosce Junior Parker (l'artefice del brano Mystery Train) e Otis Blackwell, autori e musicisti afroamericani ai quali sembra che Il Re desse pochi dollari per scrivere le canzoni e ne rubasse le movenze per poi esibirle sul palco.
Nell'ultimo episodio Jarmusch ci racconta, per mezzo delle icone artistiche Taylor Mead e Bill Rice, come si sente "divorziato dal mondo" e sembra voler consegnare il senso della sua arte e della sua poetica al lied di Gustav Mahler che recita "del mondo ho perduto ogni traccia".
Dopo i consueti ringraziamenti, nei titoli di coda l'ultimo pensiero del regista è per il rocker ed amico scomparso l'anno prima: lunga vita a Joe Strummer.
Broken Flowers (2005)
Contrariamente a quanto fatto fino ad ora, escludendo Coffee And Cigarettes in quanto raccolta di cortometraggi, Jarmusch non commissiona ad alcun musicista la scrittura di una colonna sonora originale ma "si affida" direttamente ai brani che lo hanno ispirato durante la scrittura del film, e principalmente a quelli di colui che viene riconosciuto come il padre dell' ethio-jazz, ovvero Mulatu Astatké.
Musica davvero unica quella di Mulatu; jazz, latin, funk, psichedelia garage ed elementi della tradizione etiope (ma sono rintracciabili anche influenze roots-reggae) convivono in una miscela irresistibile; grooves e temi che suonano come un richiamo ancestrale proveniente dalla madre dell'umanità, quella parte dell' Africa dalla quale proveniamo tutti.
Probabilmente Jarmusch ne dev'essere rimasto affascinato ascoltando il 4° volume della preziosa collana "Ethiopiques" (Buda Musique), serie monumentale di raccolte che ben testimoniano delle qualità di generi e stili dell'Etiopia a partire dagli anni 60.
E come un tam-tam planetario, "Broken Flowers" funziona da enorme cassa di risonanza per l'arte di Astatké.
Esplode così la febbre dell' ethio-jazz, che porterà al compositore e polistrumentista i meritati riconoscimenti internazionali; gli anni a seguire lo vedranno calcare nuovamente i palchi di mezzo mondo e incidere nuovi album, tra i quali quello nato dalla collaborazione con la giovane band The Heliocentrics, ovvero lo splendido "Inspiration Information" (2009 Strut).
I brani scelti da Jarmusch sono dei grandi classici di Astatkè e provengono dal periodo a cavallo tra la fine degli anni 60 e la prima metà degli anni 70.
Yekermo Sew, Yegelle Tezeta e Gubelye fanno da contraltare all'apatica disillusione da cui è afflitto il protagonista Don Johnston, un Don Giovanni in declino interpretato da Bill Murray, fornendogli il "motore" emotivo di cui ha bisogno per trovare un senso alla propria vita ("musica che scalda il cuore") per poi accompagnarlo nel viaggio che intraprende alla ricerca della propria salvezza, un cammino sempre più doloroso attraverso un' America consumata dal proprio sogno e confinata nelle proprie solitudini e in stereotipi grottescamente "rassicuranti".
E' alquanto significativo, in questo senso, che la presentazione in primo piano di Yekermo Sew avvenga subito dopo il Requiem op.48 di Gabriel Fauré, quasi ad assolvere ad una funzione salvifica per l'anima del protagonista. Winston (Jeffret Wright), l'amico che sprona Don a cercare il figlio e che provvede a tutti gli aspetti del viaggio (musica compresa), nutre una specie di venerazione per Astatké tanto da averne una raffigurazione nel soggiorno di casa, tra icone sacre copte e Leoni di Giuda.
Coerentemente con la profonda influenza che la storia etiope ha avuto sul Rastafaresimo in Jamaica, Winston è anche un amante del roots-raggae: El Bang Bang di Jackie Mittoo e Ride Your Donkey ad opera di The Tennors sono sicuramente frutto di una scelta ricercata in linea con l'inclinazione underground di Jarmusch.
Rimanendo ancora in ambito black, la sera prima di intraprendere la sua ricerca, Don ascolta in solitudine I Want You di Marvin Gaye.
Ha di fronte a sè un bicchiere di champagne che non beve come se volesse "brindare" assieme ai fantasmi del proprio passato. Il brano in questione (1976) è la title-track dell'album che ha segnato una leggera svolta di Marvin Gaye verso ambiti più pop.
Spostandoci su territori propri del rock, ci imbattiamo nei Brian Jonestown Massacre, gruppo seminale e ultra indipendente tanto da non aver mai concesso nulla al mainstream discografico; dai numerosi fuoriusciti dalla band sono nati tanto i Black Rebel Motorcycle Club quanto i Dandy Warhols.
La figura di "loser" del leader Anton Newcombe, descritta nel documentario "Dig!" Vincitore del Sundance Festival del 2004, non deve aver lasciato indifferente Jarmusch che inserisce il brano Not If You Were The Last Dandy On Earth nella playlist del film.
Scendendo ancora di più nei sotterranei, parallelamente con le vicissitudini del protagonista, troviamo gli Sleep, stoner-metal band molto influente nella scena metal underground agli inizi dei '90. "Dopesmoker" è il loro lavoro più difficile; un cupo brano lungo più di un'ora che ha avuto molte difficoltà di pubblicazione ma che ha fruttato al gruppo la moltiplicazione delle attenzioni di colleghi e stampa specializzata; nel tempo il pezzo è divenuto quasi un oggetto di culto nell'ambiente stoner e doom.
Spetta invece ai Greenhornes il compito di aprire e chiudere Broken Flowers. La band garage-rock, che vanta collaborazioni con i White Stripes e Kim Deal (Pixies), è presente nella colonna sonora con due brani.
There Is An End, scritta e interpretata assieme alla cantautrice inglese Holly Golightly (sua è anche Tell Me Know So I Know), è forse la canzone che meglio rappresenta il mood che si respira nella pellicola. Il testo, infatti, recita:
Le parole svaniscono,
parole un tempo così chiare,
solo delle eco che attraversano la notte.
Le linee sul mio volto,
tracciate un tempo dalle tue dita,
sbiadiscono il riflesso di ciò che è stato.
Ogni stagione ha una fine.
Si, per Don una stagione, quella dei mille amori, si è conclusa; ora si trova dolorosamente solo a fare i conti con le macerie di quel passato che riempiono la vacuità del presente, frutto di quelle scelte che lo hanno condotto al declino.
Gli ultimissimi minuti dei titoli di coda sono musicati dal secondo brano a firma The Greenhornes; si tratta del notturno, ruvido ma dolce strumentale Unnatural Habitat.
The Limits Of Control (2009)
Il controllo di massa culturale, politico e religioso che stiamo subendo in questa sorta di Neo-Medio-Evo ha dei limiti, può essere distrutto dall'immaginazione e dall'abilità.
Il sistema totalitario che sottende a tale controllo ha delle falle; non contempla l'improvvisazione, la memoria, la percezione e la natura soggettiva e arbitraria della realtà. Il percorso del killer impersonato da Isaach De Bankolè è un viaggio psichedelico attraverso la cosmogonia di Jim Jarmusch, la rivendicazione della propria libertà umana prima ancora che artistica.
Una realtà multidimensionale, impreziosita notevolmente dalla fotografia impressionista di Christopher Doyle, che si snoda attraverso una forma ibrida di cinema e musica (ma anche pittura, fotografia e filosofia) e che dispiega il presente tra le pieghe del continuum spazio-temporale di una metafisica drone-music.
"The Limits of Control" prende in prestito la forma canzone, la destruttura fornendo il canovaccio per un'improvvisazione onirica e minimalista lungo un'introduzione, tre movimenti (tre luoghi) e una coda finale.
Un brano acido, ammaliante, dalle venature blues e flamenco, increspato da distorsioni fuzz in grado di elevarne l'emotività.
L'attacco al cuore del mainstream avviene intenzionalmente senza un piano predefinito, lasciando che le note risuonino naturalmente senza limiti, fino a ricomporre dei quadri che possano fungere a loro volta da ispirazione e simboleggiare l'intuizione al tempo stesso, come in un'infinita e circolare danza di particelle.
Jarmusch non crede che le cose accadano per puro caso, ma altresì crede nelle contraddizioni. Il suo è un cinema dell'amore per le infinite possibilità delle ricombinazioni artistiche, un tentativo di cercare l'equilibrio attraverso la non-azione (secondo l'accezione filosofica orientale) e il non-luogo, una ricerca della sintonia con le mille variazioni possibili contenute in tutto ciò che deve ancora essere visto o udito.
I brani della colonna sonora, oltre a caratterizzarne profondamente l'atmosfera, seguono le stesse coordinate utilizzate nella produzione del film.
Descrivendo la musica della band giapponese di rock sperimentale Boris, presente nella tracklist con 5 brani (due dei quali assieme agli statunitensi Sunn O))), altra realtà sperimentale tra drone-metal e ambient-noise), Jarmusch afferma: "Ciò che è davvero notevole è che quando suonano dal vivo lo fanno come dei musicisti jazz, non strutturalmente o musicalmente, ma nel modo in cui ascoltano quello che gli altri stanno facendo costruendoci sopra. Ogni volta che suonano qualcosa è ovviamente differente, sempre."
Il brano Fuzzy Reactor, che vede la partecipazione del chitarrista Michio Kurihara, si dipana lungo il percorso che separa l'aeroporto Barajas da Madrid, durante il quale il regista inizia a svelarci le sue lisergiche intenzioni utilizzando anche l'esperienza acquisita nella produzione di videoclips (personalmente ci vedo un omaggio a "Solaris" di Andrej Tarkovskij, vuoi per l'ambientazione autostradale vuoi anche per la profonda sinergia audio-visuale).
Sullo stesso terreno acido anche la band psichedelica The Black Angels ma, soprattutto, i veterani Earth. Pionieri delle commistioni tra il doom-metal e la drone-music (incorporando recentemente anche elementi jazz e country), i musicisti di Seattle vantano la collaborazione di un ruvido Bill Frisell nel brano Omens And Portents 1 The Driver; sembra quasi scontato che sia stato proprio questo mood torrido da "resa dei conti" a permeare l'immaginazione di Jarmusch nel girare le ultime scene.
Veniamo ora ai Bad Rabbit, trio formato da Carter Logan, Shane Stoneback e dallo stesso Jim Jarmusch.
Il Bianconiglio che sgranocchia peyote è, per dirla con le stesse parole del regista, una slo-motion psychedelic rock'n'roll band. Pongono la firma sull' intro del film e su due ottimi pezzi, Sea Green Sea e Dawn, che compaiono anche nell'ep ad edizione limitata uscito pochi giorni dopo la pellicola.
Il flamenco di El Que Se Tenga Por Grande, nella doppia versione di Carmen Linares e di quella presente nel film ad opera di Talegon De Cordoba And George Rodriguez, porta in sé una delle frasi ricorrenti in tutto il lungometraggio: "chi crede di essere più grande di tutto deve andare al cimitero, lì vedrà quello che la vita veramente è, un pugno di polvere". Concludiamo come nel film, con una sorta di grido di vittoria finale, un gioco di parole e di significati con il titolo che suona anche come un'esortazione: "No Limits No Control".
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