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5 Aprile 2013 ,

Electric Sarajevo MADRIGALS

2013 - Autoproduzione

electric-sarajevo-madrigalsAi fini della recensione di un album, si può partire dalla pregnanza della copertina e poi, inaugurando una  virtuosa catena consequenziale, soffermarsi sul nome del gruppo e sul significato simbolico del titolo dell’album medesimo. Un’automobile che percorre una strada deserta e fiancheggiata da alte file d’alberi, come fagocitata da uno squarcio in forma di croce prodottosi nella volta celeste sovrastante. Electric Sarajevo: un nome che rimanda inequivocabilmente alla cruenta guerra nella ex Jugoslavia, ferita ancora aperta nella coscienza collettiva moderna, a dimostrazione che sommamente colpevole è l’atto d’abbassare la guardia nei confronti degli odi nazionalistici e delle derive del fanatismo etnico e religioso, da sempre produttori di disastri e lacerazioni sanguinose senza limiti. “Madrigals” è l’opera prima di questi talentuosi musicisti romani. Nove brani in cui amore e morte s’intrecciano in un groviglio inestricabile, nel quale ai perniciosi  ritmi della discesa negli abissi della lacerazione umana fa da contrappunto la ricerca di quell’antidoto che quantomeno trattenga la parte nobile dell’essere almeno sul ciglio del dirupo: l’amore. A colpi di rock, ora nichilistico ora morbidamente effuso nel firmamento complessivo delle nove tracce, a esorcizzare quasi lo scivolamento dell’umana natura nel gorgo della violenza cieca e insensata. Massimiliano Perilli, voce e chitarra; Paolo Alvano, voce e chitarra; Andrea Borraccino, basso; Stefano Tucci, programming e sintetizzatori: questa la line-up del gruppo che tra atmosfere synth e suggestioni puramente rock costruisce con genuina passione i suoi “madrigali”.

 

Il cantato è sedimentato sul tappeto sonoro in duplice strato, volta a volta e talora contestualmente in italiano e in inglese, talvolta un po’ sovrastato dalla base strumentale, ottima invero, e i brani si snodano con piacevole fluidità lungo un percorso sonoro intrigante. A partire dalla iniziale Lost, Impero, sorta di premessa in chiave oscura dell’impianto complessivo dell’album, e proseguendo coi tocchi grevi della chitarra in Watercolours. Altra traccia di notevole impatto è certamente City Dream in cui la chitarra arpeggiata fa da basso continuo alla voce, tarsiata qua e là da inserti di soffice elettronica. The Worst Lover si sviluppa a somiglianza di una crepuscolare nenia per chitarra, electronics e voce, un’oscura fiaba di una dolente contemporaneità che affonda negli anfratti febbricosi dell’animo umano. Mentre la strumentale e sontuosa The Madrigal, a nostro avviso la traccia migliore dell’album, si evolve grado a grado verso un crescendo di brillanti soluzioni armoniche, tra accenti di sognante crepuscolarismo dark e spasmi di autentica devianza rock, preludiando alla conclusiva If You Only Knew, punteggiata dal percussivo battito sincopato del sintetizzatore e da una voce quasi growl, a simboleggiare la rabbia che ci pervade dinanzi alla belluina e stupida violenza che dorme, pronta a lievitare e a esplodere ancora, nel fondo della natura umana. Un lavoro buono, senza dubbio, con ancora qualche acerbità di approccio che certamente verrà cassata in futuro. La sostanza è di indubbio pregio.

 

 

Rocco Sapuppo

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