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6 Febbraio 2014 ,

Church of Misery + Black Rainbows 5 Febbraio 2014, Roma, Init Club


Church_of_MiseryLa Chiesa della Miseria piange lacrime di sangue, quello sparso da Ed Kemper, Ted Bundy, Adolfo de Jesús Constanzo e Gary Heidnik. Lo stesso che bagna Black Sabbath, Sir Lord Baltimore, Blue Öyster Cult e Saint Vitus. La pioggia incessante che travolge Roma è complice nel creare la giusta atmosfera: qui si parla di serial killer, disagio sociale e doom acido, mica di gente perbene, decrescita e cambiamento possibile. Aprono le danze i Black Rainbows, reduci dall’ottima prova di “Holy Moon” e sempre presenti quando si tratta di pigiare sull’acceleratore del fuzz'n'roll. Lo stoner rock del trio romano è diretto e senza tanti fronzoli, contaminato il giusto tra retrovisioni Seventies, pesantezze novantiane e derivazioni heavy psych contemporanee. La band predilige il materiale recente (più “Supermothafuzzalicious!!” che “Twilight in the Desert”) e sembra volersi scrollare di dosso qualsiasi gabbia di genere. Gabriele tiene il palco da frontman consumato, quasi trafelato nel controllare le esplosioni della sua chitarra, anche perché Dario (basso) e Alberto (batteria) reggono il gioco che è un piacere.

 

I Black Rainbows sono una garanzia: sai che per prepararti alla strage che verrà, sono l’aperitivo ideale. Il finale con Black to Comm' degli MC5 riveduta e corretta (dalle streets on fire passa un corposo break psych che guarda a Motorpsycho e Colour Haze) fa proprio al caso nostro. Le tenebre hanno ormai avvolto l’Init quando i Church of Misery salgono sul palco. In giro dalla fine degli anni Novanta (l’uscita di “Taste the Pain” nel 1998 fu una manna per tutti gli estimatori sabbathiani), il gruppo giapponese è uscito indenne da trend e revivalismi. Lontani da qualsiasi corporate attitude, i quattro hanno fatto di violenza sonora e impatto soffocante le loro caratteristiche vincenti. Vai ad un concerto dei Church of Misery e sai benissimo che ne uscirai con le orecchie a pezzi e il sorriso stampato in faccia. Come un David Coverdale strafatto di ketamina e diventato Satana dei dropout, Fukasawa Hideki guida il ballo macabro con voce corrosiva e folate di synth che squarciano gli organi interni degli astanti.

 

I volumi spingono a sufficienza perché El Padrino possa far risuonare in tutta la sua cattiveria i riff del buon Kawabe Ikuma, che con tocco 70's freak e camicia floreale non fa rimpiangere l’aggressività lisergica dell’ex Tom Sutton. È una questione di suono: i Church of Misery hanno il loro. Heavy psycho doom che trapassa fegato e cervello, uno stile gonfio, groovy, impossibile da respingere. Il basso di Mikami Tatsu è una piovra avvolgente, saturo d’elettricità e dilatazioni tossiche, che Narita Junji regge con drumming quadrato. Lo dimostrano Lambs to the Slaughter e una commevente Born to Raise Hell, commefitica, anfetaminica e luciferina come non mai. Blood Sucking Freak è psychedelic rock'n'roll nella venerazione totemica di Tony Iommi: un altare doom a Richard Trenton Chase. Il vampiro di Sacramento squartava e beveva il sangue delle sue vittime, i COM appiccano un incendio nella nostra coscienza torturandoci con sublime piacere. Wah-wah a profusione e immancabile la “hit” Killifornia, vero inno per disadattati e maudits del rock duro che per questa società vorrebbero cannibalismo, rifiuti e umiliazioni. Altro che Santa Cruz, è la trendy Shinjuku la nuova Murderville. A massacro compiuto, è davvero dura preservare l’udito e ritrovare la strada di casa. I'm going nowhere, hellbent journey…

 

Alessandro Zoppo

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