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22 Maggio 2020

Amélie Nothomb  Sete

2020 - Voland - Traduzione di Isabella Mattazzi - 109 Pagine - € 16,00

L’assunto di partenza non è certo dei più originali. Il Gesù Cristo “umano” che mette in scena la scrittrice belga nel suo ventottesimo e come sempre breve romanzo (tralasciando racconti e novelle) l’abbiamo visto più volte sia al cinema che in musica nonché in tanta letteratura passata e presente come nel Saramago de "Il Vangelo secondo Gesù" (1991) e ancor prima ai remoti tempi di "Jesus Christ Superstar" (1973) e de La Buona Novella di De André (1970) passando per film quali lo Scorsesiano "L’Ultima Tentazione Di Cristo", (1988), il più recente "Maria Maddalena", (2018) con Rooney Mara e il solito gigantesco Joachim Phoenix, e ancora in molti ed altri casi. La differenza specifica che invece Amélie Nothomb in questo recentissimo libro attribuisce alla storia più famosa del mondo è quella di un Gesù umanissimo (e pure sposato con Maria Maddalena) ma che questa volta ci parla in prima persona, assetato e permeato da un feroce umorismo nero e che ci racconta nelle sue ultime ore di vita come realmente la pensa e come davvero siano andate le cose. Le assurde e divertenti licenze storiche che la scrittrice fa proprie per delineare le ultime ore della vita di Cristo sono molteplici e funamboliche. Nella realtà evangelica, dall’arresto del Cristo alla sua morte per crocifissione passano solo poche ore, mentre invece Nothomb si inventa un’intera notte in un’angusta cella dove riflettere e ricordare. Riflessioni e ricordi in cui ovviamente sono presenti il rapporto conflittuale col Padre e quella sete inestinguibile, dolorosissima e talmente potente da essere addirittura il sollievo per mitigare e alleviare il dolore delle feroci torture e di altre atroci sofferenze fisiche e psicologiche. Tra le libertà storiche che si arroga la scrittrice c’è anche un Giuseppe morto cadendo da un tetto mentre lavorava e le tragicomiche, crudeli e inesorabili, testimonianze dei miracolati che contribuiscono alla condanna del Cristo senza la minima gratitudine. La sete, protagonista e filo conduttore filosofico e metaforico della sofferenza subita, ha un ruolo principale e quella spugna imbevuta di aceto che gli viene spinta tra le labbra dal soldato romano e che si è sempre pensata come scherno, insulto, ed ennesima vile tortura risulta invece un delizioso nettare che allevierà quella sete. Vi sono poi ancora le riflessioni dell’autrice su quell’umanità del Cristo talmente tale da presentare i peggiori difetti di noi uomini. L’ira e la cattiveria nel seccare il fico che non aveva tra i suoi rami i frutti desiderati in quel momento (ma non era stagione di fichi!) e la scelta partigiana e vendicativa di portare in Paradiso soltanto il ladrone buono che gli si rivolge con pietà, ignorando e condannando alla perdizione quello che invece lo deride. La copiosa produzione di Nothomb si è sempre divisa tra deliziose illuminazioni di notevole interesse e altre storie più normali e certo meno incisive. Questo breve romanzo si pone tra le prime. La sua brevità e la scelta del racconto in prima persona ne fanno inoltre anche potenziale testo per un eventuale monologo teatrale che si proponga come una tragicomica orazione funebre dedicata all’imperscrutabilità dell’essere, come un cantico alla caducità dell’uomo e alla felicità di possedere un corpo. Un’elegia dove convivono la paura, la gioia, i dubbi e l’incertezza e il desiderio comunque irrinunciabile di vivere la vita.

Maurizio Pupi Bracali
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