Yusef Lateef & Adam Rudolph + Inside Jazz Quartet with Jim Rotondi 22 Ottobre 2012 , Torino, Teatro Colosseo
Abbiamo vissuto un prologo inconsueto per questo importante appuntamento con Yusef Lateef. Un prima e un dopo. Il "prima" è un viaggio in auto fra Torino e Milano, lunedì 17 settembre, ospite dei 3/5 del quintetto di Paolo Fresu, per il concerto serale di MiTo al Piccolo Teatro Strehler. Con Roberto Cipelli, Ettore Fioravanti e Tino Tracanna: dialoghi intensamente fitti, concerti, tour, progetti. Quando Tracanna scopre che il vostro scriba è ancora un accanito ricercatore discografico, rivela il "tema": «eseguire Yusef Lateef "prima" di Lateef». E' quel "prima" che mi lascia perplesso, non conoscendo a fondo il percorso dell'artista più longevo ancora in attività (92 anni il 9 ottobre scorso), con il pianista Dave Brubeck. Tino lascia il discorso come sospeso: lo riprende sul palco del Colosseo a Torino oltre un mese dopo, per la seconda data in Italia del duo Lateef / Rudolph, preceduti da un quintetto originale (di cui Tracanna è parte) con Jim Rotondi. Quel "prima" di Yusef Lateef non era solo l'introduzione all'esibizione del duo, ma una autentica, attenta rilettura delle migliori pagine di Lateef, scritte in contesti e per gruppi diversi, tra la fine anni '50 e i primi sessanta.
INSIDE JAZZ QUARTET with JIM ROTONDI
La serata torinese era la seconda delle uniche due date italiane di Lateef, organizzate dall'Associazione Culturale IaMaIà con Bags Entertainment. Il "dopo" è dunque Inside Jazz Quartet, che ha arricchito il quadro della serata, con una formazione tutta italiana: Tracanna ai saxes, tenore e soprano; Massimo Colombo al piano; Attilio Zanchi al contrabbasso; Tommaso Bradascio ai drums. Ospite il cinquantenne trombettista Jim Rotondi, compositore e direttore d'orchestra statunitense, dalla solida esperienza ispirata alla lezione di Freddie Hubbard, per un set non convenzionale, che si è srotolato nelle esecuzioni più originali di Yusef Lateef. L'apertura, con Snafu, che Lateef incise in quartetto nel 1961 (da «Eastern Sounds», cd OJC/Concord, con Barry Harris al piano, Farrow al basso e Lex Humphries, drums), ove Lateef traccia percorsi anticipatori della lezione coltraniana (con «A Love Supreme», 1965).
Il secondo brano Morning (da «Jazz Moods» del 1957, cd Savoy, con un sestetto che includeva, tra gli altri, Curtis Fuller al trombone) "in anticipo" rispetto al jazz/soul dei fratelli Adderley (Cannonball e Nat), che Lateef frequenterà assiduamente: qui Jim Rotondi al flicorno conferisce all'esecuzione momenti vivaci e tenui insieme, intervallati dai rientri di Tracanna al tenore, sia nell'esposizione del tema, sia nelle frasi improvvisate. Nel successivo Brother John, con il soprano di Tracanna e la tromba sordinata di Rotondi, emerge tutta la cifra stilistica del quintetto, capace di rievocare degnamente le pagine migliori che Yusef scrisse con Cannonball Adderley dal 1962 al 1964. In Yusef Mood (ancora da «Jazz Moods»), il brano che ha chiuso il set, sono evidenti i segni e le sonorità modali che introducono a tutta la lezione lateefiana, un precursore non adeguatamente valutato e considerato: un anticipatore in piena regola di quella world music che troppo spesso viene considerata come appannaggio esclusivo e autentico di artisti jazz che "sconfinano" nelle pretese commistioni (più "mercantili" che dettate da una autentica esigenza espressiva).
YUSEF LATEEF & ADAM RUDOLPH
E la migliore risposta è stata quella di Lateef Yusef, già docente in Nigeria, fondatore dell'etichetta YAL. Lateef e Adam Rudolph hanno conquistato la scena in modo timido, un tentativo per non frantumare il nero buio della sala: la loro ormai consolidata vicenda artistica che li accosta da alcuni anni non lacera l'atmosfera; è un'introduzione al suono e al silenzio, alla voce e ai rumori del vento, dell'Africa, dell'aria. Tre lunghe suite, un medley di poemi afro-asiatici rivolti all'ovest, con citazioni dotte (dal free di Ornette Coleman e Albert Ayler al modale di derivazione davisiana e oltre). Sono due conquistatori di territori, di piazze sonore inesplorate: di qui l'attualità di Yusef Lateef, artefice di un immaginario "Occupy Sound", in perfetto stile coltraniano, lui che di Coltrane ne è stato precursore ed emulatore insieme. La tastiera del pianoforte, la batteria bassline, gli archi, le ance sono strumenti suggestivi e inquietanti, e insieme il suono si muove attraverso mondi lontani: in realtà, è lo spirito di quella musica classica di matrice africana, che tocca varie epoche e le tradizioni del mondo, ma tutte declinate nell'attualità.
E' la tremenda attualità del linguaggio la nostra chiave di lettura dell'esibizione del duo Lateef/Rudolph e dell'esigenza di stabilire se dall'Africa, dall'Asia, sino agli altri continenti, Europa e Americhe, giunga la richiesta di un nuovo suono: non più, quindi, etichette, ma una risposta culturale e artistica alle domande che si alzano da Zuccotti Park, dall'Afghanistan, dalla Siria, dai fermenti umani di Piazza Tahrir. Yusef Lateef, fautore di «una musica autofisiopsichica» polistrumentista e artigiano di flauti, oboi (l'argol, tra i molti) e altri zufoli del deserto, con Adam Rudolph ha toccato queste sensibilità: questo è stato il messaggio che abbiamo raccolto quella sera al teatro Colosseo di Torino.