Peter Silberman IMPERMANENCE
[Uscita: 24/02/2017]
Stati Uniti #consigliatodadistorsioni
Qualche anno fa Peter Silberman accusò un grave problema di udito. Un acufene intensissimo capace di tradurre ogni piccolo suono in qualcosa di insopportabile, che successivamente gli ha causato una sordità temporanea all’orecchio sinistro. Era il 2014, l’anno di “Familiars”, quinto album in studio degli Antlers. Silberman decide di abbandonare una città rumorosa come Brooklyn per luoghi più silenziosi. Ed è proprio dal silenzio che nasce questo “Impermanence”, primo atto solista, che pone l’ex cantante degli Antlers sulle orme del mai dimenticato Jeff Buckley. Un vero atto d’amore. Ma anche e più semplicemente un modo per azzerare tutto e ripartire.
Peter imbraccia la chitarra e imprime sul pentagramma una serie di composizioni dalla bellezza disarmante. Alla magia contribuiscono soprattutto i vuoti e i silenzi, che in questo disco dettano i tempi. “Gli spazi tra le parole sono importanti come le parole stesse”: un’affermazione che chiarisce fin da subito le intenzioni dell’autore americano. Silberman prende il suo dolore e lo trasforma in oro. Appena 36 minuti di musica composta con corde accarezzate, una batteria appena percettibile, una voce flebile e un fruscio di fondo simile al respiro delle conchiglie. Sei brani in bilico tra chamber folk e art-soul, il tutto immerso in uno scenario spettrale. Peter non accelera mai i ritmi, procedendo lungo un flusso onirico di canzoni languide dove trovare imperfezioni è davvero difficile.
Canzoni come Karuna sembrano riemergere da un sogno, dilatandosi lungo quasi nove minuti di malinconia incontaminata che nel finale si caricano di un pathos e di una intensità tali da stringere il cuore, qualcosa di speciale che rimarrà negli anni. Un disco nitido, puro e incantevole nella sua semplicità. La formula rimane invariata nei brani successivi: New York e Gone Beyond sono gospel minimali di peculiare sensibilità; Maya è una nenia celestiale in cui Silberman sfodera falsetto e vibrato senza caricare l’effetto finale. Ahimsa, con quel “no violence today” ripetuto quasi a voler esorcizzare il dolore, è un altro colpo basso. Il finale è affidato allo strumentale Impermanence, brano che non solo dà il titolo al disco, ma si ricollega all’EP "Transcendless Summer” dello scorso anno. Notevole è la capacità di Silberman di arrivare nel profondo dell’anima con canzoni che sembrano fluttuare per poi incollarsi alla memoria. E ci riesce con estrema leggerezza. Unico difetto del disco è quello di terminare troppo presto.
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