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14 Giugno 2012 , ,

Neil Young & Crazy Horse AMERICANA

5 giugno 2012 - Reprise

Neil Young and Crazy Horse, "Americana"

"Ciascuna delle canzoni in 'Americana' ha dei versi che sono stati ignorati. E questi sono i versi chiave, gli elementi che fanno vivere queste canzoni. Sono un po' crudi per farli cantare ai bambini della scuola materna. Gli originali sono molto più cupi, c'è più protesta – gli altri versi di This Land Is Your Land sono molto appropriati ai tempi, e anche in Clementine i versi sono cupi. Quasi tutti hanno a che fare con gente che viene uccisa, con lotte per la vita o la morte. Non si sente molto tutto questo in Americana, sono stati trasformati in qualcosa di molto più leggero. Così ho li ho tolti attraverso un'interpretazione più moderata. Con nuove melodie e nuovi arrangiamenti, abbiamo potuto usare il procedimento folk per invocare i significati originali per questa generazione" (Neil Young)

(Traduzione di Rossana Morriello)

 

 

AMERICANA  I

"Sono nato a Toronto … ricordo che una volta fui vittima  di una serie di provocazioni da parte dei bulli della mia classe; il ragazzo che mi sedeva di fronte con il gomito buttò giù i miei libri dal banco …  andai dall’insegnante e  chiesi se potevo avere il dizionario, era la prima volta che alzavo la mano per chiedere qualcosa, presi il dizionario, mi alzai in piedi … lo tirai su più in alto che potei e lo sbattei in testa a quel ragazzo". Neil Young è un genio. I Crazy Horse sono Neil Young. Neil Young e i Crazy Horse sono la più bella ed eccitante macchina da rock’n’roll della storia dopo (?) i Rolling Stones. Quando, nel 1969, Brian Jones ci lasciò orfani, Neil sperò di prenderne il posto. Fortunatamente non accadde. Per Neil, per gli Stones, per tutti noi. Clementine ci travolge. Ralph Molina, Billy Talbot e Frank “Poncho” Sampedro martellano su note che sono storia della canzone del Nord America. Hard folk?

 

Neil Young and Crazy HorseDoveva essere un disco nei solchi della tradizione (il Canadese Errante ci ha abituato a questo), ma si incrociano riff e feedback a metà strada fra “Reactor” e “Hawks & Doves”. Il suono è quello di  venti, trenta, quaranta anni fa. Magnifico. La luna piena nel ranch, racconta Poncho. Vengono alla mente le notti di fumo e tequila di “Tonight’s the night”, ma è tutto diverso. Il “loner” ha sessantasei anni e di notti ne ha viste tante altre. ‘Bruce Berry was a workin’ man’ cantava Neil, ma Bruce è morto e Neil e Cavallo Pazzo sono più vivi che mai. L’uomo che la generazione grunge ha eletto come idolo e fonte d’ispirazione è un tripudio di meraviglie … come sempre. Woody Guthrie e la sua “chitarra che uccide i fascisti” esplodono in This land is your land  (il Boss è migliaia di anni luce lontano), Tom Dooley, Get a job, Neil e i Crazy Horse: possenti, estremi, bellissimi. Ma aspettiamo con beatitudine ciò che è nato dalle sessions della luna piena… a ottobre: di quale anno non sappiamo, ma Neil c’è!

 

                                           Maurizio Galasso

 

 

AMERICANA II

Neil Young and Crazy HorseMi ero mentalmente riproposto di iniziare più o meno così questa seconda recensione del programmatico “Americana”:Dopo la sentita elegia - che avete appena finito di leggere - del caro amico e collaboratore napoletano Maurizio Galasso ad “Americana”, il nuovo  commovente lavoro dell’immenso Neil Young e dei ritrovati  amatissimi Crazy Horse, cercherò di essere più freddo e di esaminarlo obiettivamente …’. Eccomi qui, ad ascoltare “Americana” la seconda volta con tutte le migliori intenzioni del mondo; niente da fare, puttana eva: ho già un groppo alla gola che conosco molto bene con l’iniziale primo traditional Oh Susannah, terribilmente intrigante, trattata e sottoposta come gli altri dieci brani di questo lavoro incredibile, ad un arrangiamento armonico micidiale e trasfigurante, che la rende irriconoscibile, e vicinissima melodicamente - strano ma verissimo – in alcuni risvolti alla celeberrima Venus degli Shocking Blue; ' ma dì un pò ... straparaculo di un Young che non sei altro, ma avevi proprio quella in mente mentre arrangiavi Oh Susannah?'.

 

Già da questo primo episodio è chiaro che l’operazione di Neil Young & Crazy Horse, di certo non nuova,  di riproporre riattualizzandola la tradizione americana più tradizionale  (ripetizione sintattica voluta) è strepitosa e carismatica, ed il viatico è il – finalmente - ritrovato sound chitarristico epico, iper elettrico, farcito di movenze percussive 'pellerossa' (leggasi nativi d'America) minacciosamente foriere di guerra, elaborato daiNeil Young and Crazy Horse quattro all’epoca di dischi entrati nella storia del nostro rock come “Everybody knows this is nowhere” (1969, Reprise), “Tonight’s the night” (1975, Reprise), “Zuma” (1975, Reprise), “Rust Never Sleeps” (1979, Reprise), “Live Rust” (1979, Reprise), “Ragged Glory” (1990, Reprise)  e via dicendo, attraverso i ’90  ed il terzo millennio, sino all’ultimo in ordine di tempo “Greendale” (2003, Reprise) in cui Neil Young, Ralph Molina  (drums), Billy Talbot (bass, vocals), Frank "Poncho" Sampedro (guitar) compaiono insieme, in studio come in tour.

 

In “Americana” però i nostri appaiono più sobri e contenuti strumentalmente - come già saggiamente notato da qualcuno molto vicino a Distorsioni - non si lasciano andare a quelle lunghe jam-sfuriate chitarristiche marchio di fabbrica, che (oddio!) non avremmo disdegnato, ma va alla grandissima anche così. La superba drammatizzazione estetica di altri due ultra-conosciuti traditional  a stelle e strisce, Clementine (Oh my darlin’) e Tom Dooley (irriconoscibili anche loro, solo alcune parole del testo ci mettono sulla buona strada) confermano che quando, come in questo strabenedetto nuovo “Americana”, Neil Neil Young and Crazy Horse, "Americana"decide di lavorare ancora con Frank, Billy e Ralph son scintille che sprizzano, e siamo solo al terzo brano in scaletta. Il tempo di rinfrancare lo spirito con Get a job (doo wop ed early Beach Boys mood) e  la pastorale ultracountry Travel on: a seguire le strepitose rivisitazioni crepuscolari e mistiche di High Flyin’ Bird e Jesus’ Chariot (She’ll be coming round the mountain)  toccano alcuni degli apici del lavoro (l’addetto ai lavori docet); ci fanno il cuore a pezzettini, questa volta son calde lacrime ed ectoplasmi di un passato trapassato a materializzarsi (I’ve been waiting for you, The Loner), e questo che parla è invece l’’appassionato’, fragile e spoglio di cinture di salvataggio critiche.

 

La rivisitazione più fedele è quella di  This land is your land, commovente ed immortale inno ad un nazionalismo non becero e naif: Woody l’autore, colui che ammazzava i fascisti con la sua chitarra; e non è cambiato molto credetemi, ancor oggi, nonostante ripetuti patetici tentativi di appropriarsene in nome di una storia che di certo non appartiene loro, acustica o elettrica che sia, rimane l’arma più letale per metterglielo in culo … ai fascisti! Dopo i tre minuti  accorati di Wayfarin’ Stranger  si conclude con una Gode Save The Queen di cui sinceramente avremmo fatto a meno. Young ha affermato – a proposito nella sua inclusione in Americana - che la sua  pregnante britannicità era sentitissima dai coloni americani che la intonavano, e non ho dubbi a riguardo, come anche a propositoNeil Young and Crazy Horse della buona fede dell’artista nel definire a 360° un’operazione culturale coerente e necessariamente dallo sguardo retroattivo: nonostante tutto ciò preferisco (preferiamo?), e me ne assumo in prima persona la piena responsabilità (ah ah ah!) la God Save The Queen di settantasettina memoria di un certo Johnny Rotten  e c., sì, proprio quel ‘re punk scomparso ma non dimenticato’ celebrato da Neil in Hey Hey, My My (“Rust Never Sleeps”). Con questo intrigante gioco di rimandi musicali e cronologici non posso non concludere perdonando al sessantasettenne Young questa règia debolezza, alla luce dei precedenti 53 minuti di Americana stellari, già ‘storia’!

 

                                                    Pasquale Wally Boffoli

 

                             

AMERICANA III

La stupenda ossidiana che ancora imperla la chitarra e la figura del  grande Neil è viva più che mai, silhouette sempre da invidiare per miriadi di musicisti: il nuovo lavoro “Americana” suonato e vissuto con gli inossidabili Crazy Horse, non smette di magnificare, rilanciandolo, l’eterno e stupefacente messaggio elettrico del grizzly del country rock mondiale. Alla sua età – come tanti suoi colleghi sopravvissuti – potrebbe essere un artista disorientato, facile a cadere nelle falle dell’auto-commiserazione o ancor peggio nelle fasi di conversione verso lidi artistici del prendi due e paghi uno: ma non è così, la sua “razza poetica” vuole ancora immischiarsi in affari di polvere, lotte e cuori,  combattendo con la lancia (pardon, la chitarra) in resta la non umanità del terzo millennio appena iniziato. Lui la scardina con la rabbia ed il sorriso forzato di cui è capace e vince. Disco baldanzoso “Americana”, tribale in certi aspetti, con il jack incandescente e la lingua senza peli, che recupera le grass roots e quei colori di provincia sterrata che è sempre bello ritrovare. Ma la cosa più importante – dalla parte opposta della barricata -  è cercare di liberarsi dal pregiudizio e dall’aspettativa di un ascolto asfittico, di quelli ‘solo per riconoscenza’, e ravvisare invece le nuove energie grazie alle quali  Neil Young & Crazy Horse si rimettono nell’eterno gioco del rock, come fossero alla loro prima esperienza. La storia del rock? Ovviamente più ricca.

 

                                                             Max  Sannella         

 

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