Kali Yuga KY
Si fecero conoscere negli anni 90, soprattutto per i loro infuocati live set in giro per la penisola, un album, uno split con One Dimensional Man e poi lo scioglimento nel 1999, a causa di problemi personali e di situazioni decisamente poco fortunate (per chi fosse interessato alla scena della città siciliana e alle vicende dei suoi musicisti consigliamo il libro di Daniele Sabatucci “Palermo al tempo del vinile”). Oggi ritornano sulla scena i palermitani Kali Yuga, in formazione i due membri storici: Bizio Rizzo alla voce e Giancarlo Pirrone alla chitarra, al basso Fabrizio Vittorietti, col gruppo dalla metà degli anni novanta e alla batteria Alessandro Gruccione. “KY” esce per l’etichetta della loro città 800A Records (sigla che dirà poco ai non palermitani, ma onnipresente sui muri cittadini) che lo pubblica nella sua collana in vinile, il disco è disponibile anche in download. Otto le tracce alcune tirate fuori e rispolverate dal cassetto dove erano chiuse da una ventina di anni, altre invece di recentissima composizione.
Quindici anni sono lunghi, molto è accaduto nel frattempo, e la nuova apparizione dei Kali Yuga ce li mostra sì in piena forma, ma anche nell’evoluzione del loro suono, perché se l’asse portante negli anni novanta erano stati lo stoner e il noise punk, figli dell’hardcore del decennio precedente, oggi la band vira su sonorità più decisamente psichedeliche e indie rock. In particolare è molto cambiato il modo di cantare di Rizzo, non più la voce cavernosa e arrochita - ne rimane traccia in Drunk’n’Sad e in parte nella conclusiva Siren (Fuck Like a Motorpsycho) - ma una più morbida e profonda, melodica perfino, tra Pavement e Gun Club. L’effetto è in gran parte quello di una sognante malinconia innestata su una profonda corteccia rabbiosa, supportata da una ritmica potente e frenetica, giri di basso stordenti e pelli percosse in modo selvaggio, tribale, mentre la chitarra, sovente distorta, si lascia andare a infuocati riff e ad assoli di matrice psichedelica. Ottimi anche i testi, cantati in inglese, che suscitano immagini lisergiche di paesaggi misteriosi e spaesamento emotivo. Fra le tracce segnaliamo l’iniziale, splendida 9.04 (Here She Comes), notturna e torbida, con un assolo di chitarra che vi colpirà inevitabilmente, la bizzarra canzone d’amore B Loves S, la psichedelica Were I Use To Go, in cui troviamo dei versi che potrebbero stare ad epigrafe dell’intero album: «There is a place where I use to go / when I need to hide myself / by the confusion of my thoughts». Ma sono gusti personali in un album di ottimo livello qualitativo ognuno troverà pane per i suoi denti, a patto che siano denti affilati in ottimo rock’n’roll. Bentornati Kali Yuga!
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