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18 Febbraio 2012

Miracle Workers Overdose (1988, L.S.D.)

1988 - Love‘s Simple Dreams

Al giro di boa degli anni Ottanta, dopo un quinquennio segnato da un’ attitudine quasi impermeabile al compromesso, il garage punk muta pelle. Il suono delle garage-bands si infetta, gradatamente, con le scorie degli anni Settanta. Chesterfield Kings, Fuzztones, Sick Rose, Fourgiven, Yard Trauma, Creeps, Miracle Workers, Morlocks stanno mutando il loro suono, piegandone gli angoli ognuno secondo la propria attitudine. Gli Unclaimed non esistono più. E con loro va via l’ anima etica del movimento. Ramones, Flamin’ Groovies, New York Dolls, Oblivion Express, Johnny Thunders, Alice Cooper, Real Kids, Stooges, MC 5 iniziano a spingere dal basso cercandosi un varco tra Music Machine, Standells, Count V o Syndicate of Sound. Vengono fuori alcuni mostri e qualche creatura informe. Ma anche qualche buon androide. Roba che comunque allora fece storcere la bocca a tanti. Il simulacro del sixties-punk è stato profanato. E qualcuno grida allo scandalo. “Overdose”  è il disco che seppellisce definitivamente il garage punk degli anni Ottanta sotto quintali di macerie proto-hard. Non è il primo tentativo. Prima c’ era già stato “Don ‘t open til doomsday”  dei Chesterfield Kings ad inclinare l’ asse del pianeta neo-beat.

 

E i Morlocks avevano già cominciato ad affogare i loro vagiti in una poltiglia hard manipolandola fino a creare i piccoli frankenstein di fine decennio. Sull’ altra costa, i Fuzztones avevano già cominciato a portare a spasso il rantolo malato di Iggy Pop. Mano nella mano con Arthur Lee, Link Wray, i Bold e gli Outcasts.  Ma  “Overdose”  sembrò tuttavia essere il punto di non ritorno. I Miracle Workers furono i più sfacciati tra tutti, probabilmente. Danny Demiankow, che era  l’ uncino che li attaccava agli anni Sessanta, non c’ è più. Lui era stato il chitarrista degli Aftermath, oscura band di Los Angeles di venti anni prima, finita quasi per caso sulla copertina del ventesimo volume delle “High in the Mid-Sixties”  proprio mentre era impegnato a suonare le tastiere su “Inside Out”. Ha fiutato l’ aria, e ha deciso di aprire le finestre. Assieme a lui salta Joel Barnett. Al suo posto entra Robert Butler degli Untold Fables. Porta con sè il suo Rickenbacker e una pila di dischi. Nel mucchio ci sono gli Stooges, “Beggars Banquet” degli Stones, Flamin’ Groovies. Nessuno nella band ha i capelli lunghi come i suoi. Non ancora. Nel giro di pochi mesi i Miracle Workers si riassettano e cambiano completamente strumentazione e set. Love has no timeAlready GoneYou ‘ll know whyTears  escono progressivamente dalla loro scaletta così come i pezzi dei Wailers, dei Sonics o dei Bad Roads che coloravano i loro primi concerti.

 

Al loro posto entrano con prepotenza No Fun, I got a rightDirt e Little Doll degli Stooges, Slow Death  Teenage Head dei Flamin’ Groovies, Lookin’ at you degli MC5. Addirittura Evil Woman dei Black Sabbath. Accanto a loro, ci sono le nuove canzoni della band: veloci, rumorose, a volte tirate fino al parossismo (Light, Camera, Action scritta pensando a Fellini, ha la stessa foga di un pezzo hardcore, NdLYS), altre volte lasciate bruciare a fuoco lento come se le sagome accartocciate di Mick Jagger e di Ron Wood fossero state infilate nello spiedo, lasciando gocciolare la broda di When a woman ‘s call my name  o She‘s got a patron saint. Non c’ è più nessuna adesione agli schemi del garage-punk. I canoni sono stati definitivamente abbattuti. Il suono viene dapprima oltraggiato, poi lasciato libero di sbattere il muso come un cane carico di rabbia. Fino all’ apoteosi finale affidata al rituale di Little Doll, allo scioglimento del corpo del garage punk dentro l’ acido muriatico. Disordine confuso allora col disonore. Frustate confuse con la frustrazione di doversi adeguare. Overdose avrebbe bruciato tutto e subito, band compresa. Incapaci di replicarsi. Loro che erano i perfetti replicanti degli Stooges. Che beffa!

 

Franco "Lys" Dimauro
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