Virgin Prunes Storie da un’altra Irlanda
INTRO: Ragazzi a Dublino
Nei primi anni ’70 girava per le vie di Dublino una banda di ragazzini. Si facevano chiamare Lypton Village e si erano ribattezzati con buffi soprannomi. Derek Rowen era “Guggi”, suo fratello Trevor “Strongman” (un terzo fratello, Peter, è il ragazzo che appare sulle copertine degli U2, poi diventerà un fotografo), Fionan Hanvey “Gavin Friday”, Paul Hewson “Bono”. Con loro anche i fratelli Dik e Dave Evans (“The Edge”). Si facevano chiamare anche Virgin Prunes, in slang dublinese i “buffi derelitti”, contraddistinguendo con questo buffo epiteto coloro che vedono il mondo in maniera “diversa”. Quando esplode il punk la banda di ragazzini diventa anche band musicale: ma Bono e The Edge rispondono all’annuncio del compagno di scuola Larry Mullin e il resto è storia. Gli altri arruolano il batterista Pod/Antony Murphy, che presto sarà sostituito da Daniel Figgis, alias Haa-Lacka Binttii (“Regina bantù della lacca” è la poco probabile traduzione del nome). Fondamentale anche l’ingresso in squadra del performer Dave-Id Busaras (n. Scott e segnato dalla meningite). Ora i Virgin Prunes sono una vera band e iniziano a fare sul serio. Molto sul serio.
Punk’s not dead
Il primo 45 giri è Twenty Tens (I'll be smoking all night long). Non inganni la romantica copertina preraffaellita, dove una bambina gioca con dei candidi coniglietti: la musica è tipico post punk, tribale e funkeggiante, con basso e batteria pestatissimi e chitarre taglienti, un po’ sulla scia dei Gang of Four, ma più sgangherati. Segue Moments and Mine - pubblicata per l'essenziale etichetta Rough Trade - più minimale e sperimentale, come l’apocalittica Red Nettle, uscita sulla compilation della rivista New Musical Express “C81”. Quindi la band inizia un progetto molto ambizioso che intitola “A new form of beauty”, un concetto che definiscono come l’"andare contro all'intricato concetto della bellezza che può essere trovata nell'essere diversi" (così afferma il gruppo e lo riporta ancora oggi nel proprio sito). Il progetto comprendeva una serie di 45 giri, un libro e un film, ma rimase incompleto. Qui troviamo un gruppo già molto cresciuto, più raffinato nella composizione. Una delle canzoni più riuscite della band, Sandpaper Lullaby, una ballata apparentemente soave, fa parte di questa collection. Nel frattempo Mary D’Nellon (non inganni il nickname, è un maschietto) ha sostituito Haa-Lacka Binttii. In Italia esce un doppio LP dal titolo “A new form of beauty”, che però ha una scaletta diversa dalle edizioni britanniche. Completa la prima parte della carriera un altro grande singolo, Pagan Lovesong, filastrocca tribale che segna lo stile definitivo della band, e non è ripresa sul debutto sulla lunga durata.
...If die I die
Il primo LP della band “...If I die I die”, è un fulmine a ciel sereno. In un momento in cui la new wave britannica comincia a segnare il passo, molte band iniziano a entrare in crisi o nella fase mainstream, e le novità sono sempre meno, il debutto dei folli irlandesi si candida a disco dell’anno. Prodotto da Colin Newman dei Wire, esce per Rough Trade il 4 novembre 1982 e presenta due facciate notevolmente diverse. Sul lato A tre lunghe ballate. Sul lato B cinque canzoni più brevi, persino pop. Le tre canzoni della prima facciata (che in realtà sono quattro ma Ulalakanakulot e Decline and fall prendono un unico solco), sono oscure, minacciose, tribali. Melodie folkeggianti convivono con taglienti sonorità industriali, il paganesimo di gruppi tipo Comus con la modernità del post punk dei Joy Division. E quelle voci che ripetono ossessivamente “die, die..”. È un vero neoprivitivismo quello che esce dai solchi. Il gruppo non è fenomenale tecnicamente, ogni strumento ripete cellule melodiche e ritmiche piuttosto semplici. Però l’amalgama è molto riuscita, l’ascoltatore è veramente calato in un mondo di tregenda, in una geenna tecnologica. Sweethomeunderwhiteclouds (scritto così, tutto attaccato) è uno dei vertici dell’album, una litania infernale, che la voce di Gavin Friday, magnifica nella sua programmatica sgradevolezza, declama su chitarre grattugiate e bassi bulbosi e pulsanti, il tutto arricchito dagli svolazzi di un sax soprano (non è dichiarato chi lo suoni). Anche per l’ascoltatore più scafato l’ascolto di If I die I die si rivelava un notevole shock, ma voltare il disco lo era ancora di più. Dopo l’inferno pagano del lato A, su quello B cinque canzoni persino allegre; Ballad of the man si rifà addirittura a Springsteen, con tanto di assolone di chitarra e testo che cita un tale “Spanish Joe..”. E subito dopo arriva un altro vertice dell’album, ma non solo dell’album, del decennio tutto, la scatenata Walls of Jericho.
Eresie live e discografiche
Ma il massimo le Prugne Vergini lo danno dal vivo, volti e corpi seminudi pesantemente truccati ed imbrattati di colori accesi e contrastanti, con un effetto teatrale violento e primitivo. Spesso le esibizioni vengono interrotte dalla polizia, per la loro carica eccessiva e blasfema. È molto difficile discernere, tra le testimonianze d’epoca, il vero dal falso, nei video che giravano erano indimenticabili il carisma dell’immobile Gavin, vestito da contadina russa, e lo spiritato agitarsi di Guggi, agghindato da casalinga che si concede una serata pazza. Quanto ci erano e quanto ci facevano? La visione dei loro video provocava shock nel pubblico non di orientamento wave. I primi italiani Litfiba li imitavano molto. Quasi contemporaneamente al debutto a 33 giri esce un altro progetto, “Heresie", sul tema della malattia psichica, come possono far intuire brani come We love Deirdre e Rhetoric, ancora più folli di quanto il gruppo abbia inciso fino ad allora. Spiazzare è l'arte dei Virgin Prunes, ed ecco Down the Memory Lane, una buffa ballata con tanto di fisarmonica. Heresie viene pubblicato come doppio10 pollici dall’etichetta francese L'Invitation Au Suicide, specializzata in singoli che diventeranno molto rari, e comprende anche versioni live di brani già editi.
Declino e caduta
Malgrado i buoni riscontri iniziano i dissapori interni alla band. Per un po’ decidono di suonare solo dal vivo. Le registrazioni di un nuovo disco, “Sons find devils”, sono abortite. Guggi e Dik Evans non si trovano a loro agio nel music business e lasciano il gruppo. L’ex cantante si darà alla pittura. Solo nel luglio 1986 viene pubblicato un nuovo disco “The moon looked down and laughed”, con Mary alla chitarra, il ritorno di Pod alla batteria, e la produzione di Dave Ball, ex Soft Cell. È un disco molto più pop, i ritmi sono spesso elettronici, c’è una più forte componente teatral/cabarettistica. La stampa dell’epoca lo stroncò senza pietà. Risentito oggi risulta piuttosto noioso pur non essendo affatto un cattivo lavoro. Anche quando le canzoni presentano una buona intuizione melodica, come nel singolo Love lasts forever, questa si perde in un’inutile lunghezza. Nel 1985, nel periodo tra i due LP ufficiali in cui la band si eclissò, venne pubblicata la raccolta “Over the rainbow (A Compilation of Rarities 1980-1984)" che conteneva brani scartati da Heresie o apparsi su compilation collettive, come la già citata Red Nettle. Nel 1986 fu ristampata in coppia con Heresie, e poi molti brani vennero ripresi sulla raccolta “Artfuck”, che comprende anche i primi singoli. Interessante, tra i brani presenti, l’intro strumentale di The happy dead, che poi evolve in un delirio di voci alterate.
Gli altri brani, troppo pop (The king of junk), troppo rumoristi (Mad bird in the wood, Jigsawmentallama), o appena abbozzati (Just a love song), sono consigliabili solo ai completisti. Stranamente questo LP non include la canzone Over the rainbow, che invece appare nel live “Sons find devils”, che non contiene i brani del disco omonimo abortito, ma i pezzi migliori dei dischi ufficiali. L’unico disco live uscito con la band ancora in vita, ma con la formazione ridotta, è “The hidden lie”, che contiene anche cover di Lou Reed, Perfect day, e Billie Holiday, God bless the child. Quindi nel 1987 anche Gavin Friday decide di lasciare. Dopo lo scioglimento della band le strade dei Virgin Prunes si divideranno. Nel frattempo Haa-Lacka Binttii ha formato, come cantante, i Princess Tiny Meat (maligno nomignolo che appiopparono a Montgomery Clift), non eccezionale formazione dark che incise solo tre singoli. Mary D’Nellon, passato alla chitarra, Strongman e Dave Id decidono di essere semplicemente The Prunes e, persa la verginità, incidono tra il 1988 e il 1990 tre album discreti, “Lite fantastik”, “Nada” e “Blossom & Blood”. Meno originali, più melodici e vagamente psichedelici, tutto sommato carini. Nel 2004 la Mute ristampa, senza aggiunta di bonus tracks, quattro dischi (tutta la discografia dei Virgin Prunes): A new form of beauty, ...If i Die i Die, The moon looked down and laughed, Over The Rainbow.
Gavin Friday
Chi potrebbe fare il botto è Gavin Friday. Il suo debutto solista, “Each man kills the things he loves”, uscito il 29 agosto 1989 per Polygram e prodotto dall'illustre Hal Willner, è una bomba. Ma il mondo non si accorge di lui. Vanno di moda altre cose, di un nuovo Scott Walker non si sente il bisogno. In seguito Gavin incide altri quattro dischi, discreti ma niente di trascendentale. Friday ha anche un intenso rapporto col cinema, ha composto molte colonne sonore, in genere in tandem con Maurice Seezer, anche collaborando con membri degli U2. Appare come attore nel bellissimo “Breakfast on Pluto” di Neil Jordan, dove interpreta un cantante di glam rock a fine carriera. Dave Id si è dato all’arte concettuale. Come ormai succede per ogni band, lo scioglimento non fu del tutto assoluto: nel 2006 Gavin, Guggi e Dave Id incidono una canzone per una compilation firmandosi Three Pruned Men, e il 4 ottobre 2009, per festeggiare il cinquantesimo compleanno di Friday, Guggi e Dave Evans lo raggiungono sul palco per cantare insieme un paio di classici della band, con niente di meno che Jim “Foetus” Thirlwell ai cori.
Conclusioni
Di fatto quella dei Virgin Prunes è la storia di una band da un solo disco, ma come si può constatare la discografia è molto più intricata, tra ristampe, raccolte di rarità, live, ristampe in edizioni diverse. Ma quando l’unico disco importante è If I die I die si passa alla Storia, con la s maiuscola. Virgin Prunes sono stati, insieme a Bauhaus e Siouxsie and the Banshes, la vetta del filone gothic/dark europeo anni '80 secondo millennio. Altri gruppi, come Cure o Joy Division, senz’altro più importanti, sono stati qualcosa di diverso, di più complesso. I gruppi della generazione successiva, se escludiamo le pagine migliori di Sisters of Mercy e Danse Society, non li eguagliarono minimamente. Anche Dead Can Dance o Cocteau Twins furono qualcosa di molto diverso. Quanto spesso si legge con esagerazione di irrinunciabili riscoperte di compagini dimenticate. Molte lo sono state a ragion veduta. I Virgin Prunes invece godono ancora del culto di molti fans, meritato, meritatissimo.
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