Peter O’Toole Talento e bellezza
1932 - 2013
Per tutti sarà per sempre Lawrence d’Arabia. Ma per chi scrive queste righe Peter O’Toole sarà per sempre il paziente ossessionato dall’altra metà del cielo che in “Ciao Pussycat” (“What’s new Pussycat”, 1965 di Clive Donner ma di fatto primo film di Woody Allen), si rivolge allo psicoanalista Peter Sellers, affetto dallo stesso problema, con risultati esilaranti. Forse però il vero O’Toole era Lord Jim, il personaggio nato dalla penna di Joseph Conrad e portato magistralmente sullo schermo da Richard Brooks nel 1965, uomo tormentato e afflitto dai sensi di colpa. Nato nel Connemara in Irlanda il 2 agosto 1932, cresciuto a Leeds, sognava di diventare giornalista e nel corso della sua vita lo fu. Non ingannino gli occhioni azzurri: non fu solo un bello dell’epoca, fu vero attore che scopriva il teatro a diciassette anni e recitava a memoria un centinaio di sonetti di Shakespeare. Nella sua carriera ha interpretato novantatre film per il grande e il piccolo schermo. Grazie al suo portamento veniva spesso scelto per ruoli di re o nobili, magari folli come nel cult “La classe dirigente” di Peter Medak (1972) o ufficiali.
Ebbe esperienze anche in Italia, da Tinto Brass, nel discusso “Caligola”(1979) a Bertolucci, nel pluripremiato “L’ultimo imperatore”(1987), l’alto e il basso verrebbe da dire se non sapessimo che anche Brass fu autore folgorato da Godard prima di buttarsi nel softcore. Fu inevitabilmente Sherlock Homes, Casanova, Don Chisciotte e scienziato pazzo nel bizzarro “Dr Creator”. Insieme a Omar Sharif è stato l’unica star ad aver avuto il privilegio di recitare per Alejandro Jodorowsky ne “Il ladro dell’arcobaleno”. Cinema e TV però furono per Peter O’Toole più un passatempo che il vero amore; quello rimaneva il teatro. Aveva studiato all’accademia, nello stesso corso di Richard Harris, Alan Bates e Albert Finney, davvero un’ottima annata, recitando per alcuni anni al Bristol Old Vic. Arrivato al cinema un po’ per caso, fu travolto dal successo del kolossal di David Lean, interpretò film d’autore e opere commerciali, non vincendo mai l’Oscar malgrado otto nomination, vincendo però altri trentatré premi tra cui quattro Golden Globe. Il suo vero limite non fu però il talento, che non gli mancava, né la bellezza, che per certi ruoli potrebbe essere più d’ostacolo che d’aiuto, fu il rapporto distruttivo col bere, che gli causò anche un cancro allo stomaco. Guarì, ma si trascinò il suoi fantasmi nel corso di tutta la vita. Questo non gli impedì di lavorare recitando fino all’ultimo: vedremo infatti ancora un suo film in uscita l’anno prossimo (sempre che in Italia arrivino), ancora un film a carattere storico, “Katherine of Alexandria”. E potremo rivedere mille volte i suoi ruoli indimenticabili. Potenza del cinema che regala l’immortalità.
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