Bergamo Jazz 2015: Vijay Iyer, Mark Turner, Nels Cline Singers… Bergamo Jazz 2015 - 37a edizione 21-22 Marzo 2015, sedi varie
L'edizione 2015 di Bergamo Jazz ha espresso musica dal respiro largo, fresca e intensa, che potremmo sintetizzare con un acronimo del tutto inedito: ©afr-am-eur-asi, ovvero una perfetta restituzione della lettura del jazz attuale attraverso quattro continenti, come Enrico Rava (direttore artistico per la quarta edizione) ha saputo immaginarla e costruirla; agli artisti, (tutti) va dato il merito di averla restituita. Ricco il programma di questa 37a edizione svoltasi dal 15 al 22 marzo: complici impegni e calendario, abbiamo optato (purtroppo) solo per le due ultime giornate, il 21 e 22 marzo.
Sabato 21 Marzo: Vijay Iyer, Michael Formanek, Fred Wesley & The New JB'S
Sabato 21 (pomeriggio), il trio del pianista indo-statunitense Vijay Iyer (accompagnato dal contrabbassista Stephan Crump e Marcus Gilmore alla batteria) ha offerto al folto pubblico dell'Auditorium di Piazza della Libertà, il concerto più riuscito tra quelli che abbiamo seguito, dedicato in gran parte a "Break Stuff" (Ecm 2015) o al precedente "Accelerando" (Act 2012). Espressività, sonorità e leggerezza, colori e materia: sono questi i segni che abbiamo raccolto in due ore di musica sparsa dal trio a piene mani, petali che lambivano ora i tasti di Iyer, ora le corde dell'ottimo Crump, per sfiorare l'unico cymbal di Gilmore, drummer efficace nei cromatismi ritmici. Più che un concerto, ci è parso un racconto lungo, una lettura attenta, mai compiaciuta, di un pianismo che affonda le sue radici in rapsodie creative o nelle partiture dell'Otto/Novecento, con uno sguardo a Debussy, a Ravel e a Monk (con Work), citazioni di Coltrane (in Countdown) a Billy Strayhorn (Blood Count), riferimenti espliciti all'India con Mystery Woman o a Henry Threadgill (in Little Pocket Size Demons, da Accelerando). Le dinamiche del trio, inconsuete nella loro originalità se paragonata alla forma trio del jazz moderno, sono perfettamente calibrate su registri trasversali, senza graffi sul fluire della materia sonora, espressione di uno sguardo totale oltre la contemporaneità: il concetto di futuro in Iyer pare ritornare ad ogni chiusura di brano, come la soluzione di equazioni spaziali (il vortice che si fa labirinto e viceversa) che abbiamo colto nell'acclamato encores finale, The Star of A Story (da Accelerando). Pubblico entusiasta, in una cornice adeguata e con un'acustica perfetta. La sera di sabato 21, meditando ancora sull'ascolto di Iyer, abbiamo affrontato nella splendida, rinnovata cornice del Teatro Donizetti un doppio concerto, prima il quintetto di ricerca con Mike Formanek Cheating Heart, poi lo scoppiettante gruppo funky di Fred Wesley & The New JB'S.
La solida formazione del bassista e compositore americano Michael Formanek, che annoverava l'esperto Tim Berne (sax alto), Brian Settles (sax tenore), Jacob Sacks (pianoforte), Dan Weiss (batteria), ha prodotto un set condotto su lunghe composizioni free-bop dove il climax si faceva rovente nelle strutture polifoniche o nelle frasi urlate di Berne o Brian Settles, ben sorretti da una ritmica possente ed efficace, con la tastiera di Sacks a ricondurre la trama ad un feeling più leggibile, con l'apporto del poliritmico Weiss o nei solo dal timbro rotondo e preciso di Formanek. Una performance riuscita e convincente quella del Cheating Heart di Formanek, con un pubblico prima timido poi sempre più coinvolto, per una delle pagine più coraggiose del programma. Senza il ricorso ai consigliati tranquillanti by Enrico Rava (in apertura di serata), Fred Wesley & The New JB'S ha saputo eruttare lapilli di funky rovente oltre ogni immaginazione: il settantenne leader (trombonista e vocalist) ha diretto da par suo una band che rievoca la mitica formazione di James Brown, di cui Wesley è stato sodale per lungo tempo. L'incalzante ritmo prodotto da Gary Winters (tromba, voce), Ernie Fields Jr. (sax tenore, flauto, voce), Reggie Ward (chitarra), Peter Madsen (tastiere), Dwayne Dolphin (basso elettrico) e da Bruce Cox (batteria), ha coronato una serata allegra, impostata (forse troppo) su suoni insoliti per le boiserie del Donizetti.
Domenica 22 Marzo: Fabio Giachino, Nels Cline Singers, Mark Turner, Palatino
All'Auditorium (ore 11), concerto del trio del giovane pianista torinese Fabio Giachino, accompagnato da Davide Liberti (contrabbasso) e Ruben Bellavia (batteria). Dell'esibizione, impostata sui brani del recente CD "Blazar" (Abeat Records 2015, il terzo a nome del pianista - il precedente "Jumble Up" era uscito nel 2014), abbiamo tratto un sapore improntato alla levigata sonorità, con punte e richiami sia ad una lettura del post-bop contemporaneo, sia agli echi delle melodie latine e nordeuropee; riuscito e ben sostenuto l'interplay, con Liberti ben impostato negli assoli e con una accentuata cantabilità; Bellavia ai drums, partito forse con un sound troppo spiccato per la dimensione-trio, si è poi espresso sui livelli che abbiamo già conosciuto. Fabio Giachino, in grado di dominare la tastiera in tutte le sue varianti, ha concluso l'applaudita esibizione con una versione à la Hancock di Just One Of Those Things di Cole Porter. Il concerto pomeridiano delle 17 all'Auditorium, ha visto l'esibizione del trio Nels Cline Singers del chitarrista Nels Cline (noto per la sua appartenenza al gruppo Wilco), accompagnato da Trevor Dunn (contrabbasso), Scott Amendola (batteria). Il genere? Difficile l'incasellatura, con tutti i post- possibili: new music, rock, crossover (et similia). Di questo esercizio ne facciamo a meno: davanti ad un pubblico straboccante ed in gran parte entusiasta, il trio ha espresso una densa astrazione sonora, via via evolutasi con lunghe linee di chitarra, ben rafforzate da Dunn e soprattutto da un superbo Amendola; certamente uno dei momenti più coraggiosi del festival e che sottolinea ancor più quella larga linea di orizzonti sonori cercata dalla direzione artistica di Rava.
Preceduto da un interessante dibattito (alla Domus di piazza Cavour) tra Aldo Romano, Enrico Rava e Paolo Fresu, coordinato da Roberto Valentino, sulle rispettive esperienze di vita vissuta, la serata finale al Teatro Donizetti (esaurito) ha visto sulla scena il gruppo di Mark Turner prima e poi il quartetto Palatino. Il quartetto pianoless di Turner (sax tenore) con Ambrose Akinmusire (tromba), Joe Martin (contrabbasso) e Justin Brown (batteria) ha confermato la caratura del tenorista e l'assoluta padronanza strumentale di Akinmusire. Annoverato tra i migliori sassofonisti dell'ultima generazione, Turner ha espresso una dinamica fluida e intensa insieme, in grado di coniugare la lezione di Coltrane con l'eredità di Lennie Tristano e di Warne Marsh. Dal canto suo, il giovane trombettista Ambrose Akinmusire (già protagonista a Bergamo nel 2012) si è distinto per la pulizia formale del suono, calda e coinvolgente, debitore di Clifford Brown e di Booker Little, con assoli misurati e mai sopra le righe. Il repertorio offerto, coerente con l'ultimo album di Turner, "Lathe of Heaven" (Ecm 2014) ha dimostrato la perfetta sintonia del gruppo, per un set tutto sommato gradevole, ma senza spunti di rilievo, forse troppo omogenea.
Il gran finale dell'edizione 2015 ha visto tornare in scena il gruppo Palatino, dopo alcuni anni di assenza dalle rassegne. Nato dall'intuizione del batterista Aldo Romano (bellunese di nascita ma cittadino parigino) nella primavera 1995 (l'omonimo primo album è del giugno), il quartetto riunisce una all-stars di artisti che hanno intrecciato le loro esperienze tra l'Italia e la Francia, raggiunta, appunto, con il treno Palatino (da Roma a Parigi, soppresso dal 2011): Paolo Fresu (tromba e flicorno), Glenn Ferris (trombone), Michel Benita (contrabbasso) e Romano. Il gruppo ha fornito una prova che ha esaltato le grandi individualità, con un Fresu particolarmente ispirato, un Ferris dalla sonorità calda e a tratti increspata, Michel Benita con una cavata fluida e potente insieme; Aldo Romano, con un beat puntuale e rigoroso, specie nell'uso delle spazzole. Il repertorio eseguito ha ripercorso le tappe discografiche del gruppo: tra gli altri, Dawn e Tempo (di Romano), From Station To Station (di Fresu) al brano 20 Small Cigars (di Frank Zappa) a Lulu’s Back In Town di Fats Waller, sino al bis Variazione Nove di Paolo Fresu, per la gioia del pubblico esultante e soddisfatto.
Bilancio del festival
I dati di Bergamo Jazz 2015 sono eloquenti: 662 abbonati alle tre serate del Donizetti, dove le presenze totali sono state circa 3.000; per i concerti di Battaglia e Trovesi al Teatro Sociale (il 19 marzo) 400 spettatori; ai tre concerti dell'Auditorium, hanno assistito circa 700 appassionati; per "Bergamo Film Meeting" (il 15 marzo) oltre 300 presenze; perfetta e cortese l'organizzazione, senza sbavature né autoreferenzialità. La rassegna, tra le più longeve (non solo in Italia) ha dimostrato come, pur con un budget ridotto rispetto a quelli monstre di altre rassegne, si possa coniugare cultura, musica e territorio senza programmi faraonici (con troppe sovrapposizioni), con la mission dichiarata di accrescere la divulgazione (attraverso la didattica e la rassegna di film sul jazz) e con una programmazione artistica equilibrata ben scelta da Enrico Rava, in grado di rappresentare il jazz dell'attualità senza confini e con uno sguardo attento al futuro.
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