Mario Pistacchio e Laura Toffanello L’estate del cane bambino
Romanzo d’esordio per la coppia Mario Pistacchio e Laura Toffanello, ma che sia un’opera prima davvero non si direbbe. “L’estate del cane bambino” è quella del 1961, quando un gruppo di amici dodicenni, Vittorio, Menego, Stalino, Ercole e Michele, vive il classico evento che cambierà le loro vite: la scomparsa del fratellino di uno di loro. La vicenda si svolge a Brondolo, frazione di Chioggia, in un’Italia post bellica, povera e contadina. Chi non si guadagna da vivere lavorando la terra è un personaggio visto come misterioso e un po’ sinistro. Le vicende legate al Fascismo e alla Resistenza sono ancora fresche, lo si nota non solo dai nomi dei personaggi ma anche dalla nitidezza dei ricordi ad essi legati. È un mondo ancora magico, dove così come un pezzo di sterrato può diventare lo stadio di San Siro, un bambino può trasformarsi in un cane nero, come avveniva nei racconti del nonno partigiano, quelli che parlano dell’uomo sauro e del pesce siluro.
Il libro rivela una scrittura già rodata, senza i tratti stucchevoli che hanno a volte gli esordienti. La suspense è forte e leggendo si prova la voglia di vedere come va a finire, che in fondo in un libro è la qualità principale. Ottima la descrizione del paesello, del suo stile di vita, delle lealtà inesprimibili che legano le generazioni, i coetanei, le mogli sottomesse ai mariti. Un romanzo che non si può catalogare in un genere: noir, favola per adulti, romanzo di formazione, realismo magico. La miscela tra i generi non è mai fine a sé stessa ma forma un tutto coerente, che concorre alla riuscita dell’opera. Un bel romanzo, che sfugge ai cliché ripetitivi che troppo spesso appesantiscono la letteratura italiana. Contribuisce al valore del libro anche la bella copertina in bianco e nero di Gianluigi Toccafondo, grafico e artista visuale tra i maggiori d’Italia.
Un frammento
"Mio nonno paterno, come i Nordio, i Perini, Albina e qualche contadino, abitava fuori Brondolo, nella zona di Borgo Madonna. A differenza degli altri vecchi che stavano in paese con i figli, lui viveva solo. Era alto e camminava dritto, con la barba lunga sempre ben curata e le bretelle a tenergli su i calzoni. Aveva un sorriso prezioso perché sorrideva poco, e quando parlava non sprecava mai le parole. Diversamente da papà, che la guerra l’aveva vista solo col binocolo imboscandosi nelle campagne, il nonno era stato un eroe. Aveva fatto la Prima guerra mondiale, poi la Seconda e infine era stato partigiano, gli avevano dato pure una medaglia, regalandogli un pezzo di terra sulla laguna, lo stesso in cui mio padre coltivava i suoi preziosi ortaggi da parata. Nonno Cestilio faceva il pescatore, ma da quando aveva abbandonato il mare usciva poco, se non per comprarsi da fumare e fare lunghe camminate sulla spiaggia".