Antonio Pagliaro La Notte Del Gatto Nero
Avevo lasciato questo libro nella pila di quelli da leggere, ma poi me ne ero dimenticato, finché non è riapparso e così l’ho finalmente preso in mano, per non lasciarlo più. Infatti questo ultimo libro del palermitano Antonio Pagliaro ti prende e ti porta con sé in modo irresistibile in un viaggio dentro gli incubi kafkiani di un onesto piccolo borghese, insegnante di matematica in un liceo privato, uomo dalle salde convinzioni etiche e retto da una ingenua fiducia nelle istituzioni e negli uomini che rappresentano lo Stato. L’incubo di Giovanni Ribaudo, il cinquantenne protagonista, inizia con la scoperta che il figlio diciannovenne non è rientrato a casa e risulta irreperibile, scoprirà infine che è stato arrestato per spaccio di droga e quindi accusato di pedofilia per delle foto in cui appariva nudo con la sua ragazza diciassettenne. Combattuto fra l’incredulità per le accuse e lo sdegno verso il comportamento del figlio, il professore si rivolgerà con fiducia ad avvocati di grido, al pubblico ministero, alle autorità carcerarie.
Ma sarà un precipitare in un abisso di solitudine e disperazione, parole vuote, silenzi e la cinica avidità di avvocati e banchieri consumeranno non solo il suo conto in banca, ma anche la sua fiducia nella giustizia e nello Stato. Ma quando il figlio uscirà dal carcere soltanto perché suicida e con il corpo martoriato da evidenti pestaggi, a Ribaudo, mentre la moglie si rifugia nelle preghiere, non rimarrà altro che cercare di farsi giustizia da sé; provvidenziale sarà così l’incontro con Tony, da ragazzo suo inseparabile amico, e oggi nella manovalanza della mafia. Fra “Un borghese piccolo piccolo” e “Detenuto in attesa di giudizio”, “La notte del Gatto Nero” è un romanzo più che nero plumbeo, si legge con l’angoscia e la rabbia dei grandi libri e film di denuncia civile, non si perde nello zuccheroso politicamente corretto in cui i magistrati sono sempre coraggiosi e incorruttibili, i poliziotti al servizio del cittadino e i cattivi sono sempre i soliti.
Qui, paradossalmente, l’unica parvenza di giustizia la fornisce la mafia, non perché questa abbia senso di giustizia, ma proprio perché lo Stato non garantisce ai deboli, agli inermi alcuna protezione, sono proprio i potenti che comandano e stritolano e lasciano spazio alla criminalità organizzata. Leggi e pensi a Federico Aldrovandi, a Cucchi, a Uva pestati a morte da chi in divisa dovrebbe difendere l’ordine, a Giuseppe Gulotta, 21 anni in carcere innocente e non puoi non identificarti con Ribaudo, soffrire e infuriarti con lui. Il principale merito di questo libro, scritto con uno stile secco, tagliente - l’autore lascia parlare i fatti e i suoi personaggi, fornisce una storia, non dà giudizi, usa frasi brevi, dialoghi che mirano all’essenziale, senza tanti fronzoli - è quello di darci, attraverso l’odissea del protagonista, un quadro dell’Italia chiusa e in declino di oggi, terra di soprusi e privilegi; perché se l’Italia è oggi un paese brutto, sporco e cattivo le storie che vogliono raccontarla non possono che essere brutte, sporche e cattive.
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