Frederic Fajardie Assassini di sbirri
Dobbiamo alla piccola e combattiva casa editrice sarda Aìsara il merito di averci fatto scoprire, dopo gli impedibili noir di Andre Héléna, un altro autore francese da noi fino ad ora sconosciuto: Frédéric Fajardie, nato a Parigi nel 1947 e morto tre anni fa, considerato l’iniziatore del neo-polar francese. Il suo nome è spesso accostato a quello di Manchette e di quegli autori che hanno innovato il genere innervandolo di una aspra critica sociale e antiborghese, autori che, come lo steso Fajardie, hanno spesso unito alla loro attività letteraria la militanza politica radicale. Protagonista della serie scritta da Fajrdie, della quale questo “Assassini di sbirri” del 1979 è il primo di sei titoli, è un poliziotto di origine italiana, Tonio Padovani, figlio di un poliziotto ucciso da un balordo ed ex combattente repubblicano in Spagna e partigiano. Ma in polizia è malvisto ed anche lui non è che si trovi troppo bene nei panni del difensore dell’ordine costituito; così Padovani è in procinto di dare le dimissioni, “avevo aspirazioni ben diverse dall’essere un agente della repressione di Stato”, ma prima vuole risolvere il caso che sta mobilitando la polizia parigina e sconvolge l’opinione pubblica: una banda di tre imprendibili assassini che, di volta in volta mascherati nei modi più grotteschi e inquietanti e dalla complessa simbologia, uccidono e torturano nei modi più efferati poliziotti e altri rappresentanti dell’apparato statale lasciando dietro di loro una lunga scia di cadaveri.
Implacabili giustizieri mossi da spirito di vendetta -il libro è liberamente ispirato all’Orestea di Eschilo - così sembrano parlare nel dormiveglia a Padovani:”Noi neghiamo venti secoli di storia, di dominio del denaro, neghiamo il lavoro salariato e i vostri modelli di successo. Lei mi sparerà, ma nel frattempo nei casermoni dei quartieri popolari e nella periferia più disagiata stanno crescendo milioni di piccoli vampiri”. Ma se gli assassini sono i cattivi, le loro vittime e gli stessi poliziotti non sono certo i buoni, quella rappresentata da Fajardie è una società malata e corrotta, governata dal profitto e dall’interesse personale, dal pregiudizio e dal razzismo, contro la quale solo pochi riescono a mantenere un’integrità morale. Merito dello scrittore parigino è quello di costruire una storia appassionante e divertente, “bisogna imparare a sorridere. L’umorismo è l’arma dei signori, quelli veri” , dirà uno dei personaggi del libro, quel Dugomier detto Burp “occhi azzurri slavati, logorati dalla vita e da battaglie forse inutili, e dalle stranezze del caso” ex combattente in Spagna, oggi emarginato che per il suo aspetto e il suo abbigliamento, viene subito etichettato dalla polizia come ubriacone e quindi non credibile nella sua testimonianza. E invece Padovani intreccerà con lui un rapporto stretto e intenso che, oltre a indirizzarlo nell’indagine, gli fornirà uno sguardo critico sull’ambiente e un nuovo amico.