75ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia – 2a parte
1 - 2 - 3 Settembre 2018
Come si diceva una volta? Non c’è Venezia senza scandalo: e invece, nell’anno della celebrazione per il settantacinquennale, Barbera non solo è riuscito a confezionare una selezione ufficiale nella quale, perlomeno a due terzi del Festival, passato il giro di boa, non c’è nessun film propriamente “brutto”, nessuno che abbia indignato la critica o quantomeno che non abbia raggiunto la sufficienza; ma, forse proprio per l’altissima qualità media di concorso, fuori concorso e sezioni parallele, nessuno scandalo e nessuna polemica. A parte forse due argomenti, che sembravano sul punto di infiammare la stampa e invece, per motivi che diremo più avanti, sembrano essersi spenti subito, o quantomeno calmierati.
Querelle: le quote rosa e Netflix
Prima di tutto, la lana caprina sulle quote rosa: sì, perché l’Hollywood Reporter, in un editoriale quantomeno discutibile, ha parlato del “maschilismo tossico” che si respirerebbe quest’anno al Lido, con una sola regista donna in concorso (Jennifer Kent, -foto a fianco- con l’attesissimo "The Nightingale" -foto sotto a sinistra-, opera seconda dopo l’elettrico esordio con "The Babadook"). Ora: stiamo bene attenti, perché nei tempi di #MeToo le parole sembrano pesare come macigni e il fraintendimento -doloso- è dietro l’angolo. La Mostra del Cinema di Venezia, il Festival di cinema più antico e più importante del mondo, non è una fabbrica, e neanche un ufficio: e il mondo dell’Arte non è qualcosa a cui si acceda per diritto -seppure acquisito o esistenziale- ma per merito. Che nel cinema tout court le donne autrici siano una minoranza è un dato di fatto: si contano forse sulle dita di due mani (o una?) le registe che sono riuscite ad avere uno sguardo importante e decisivo sulla contemporaneità. Per quale motivo il comitato selezionatore del Concorso Ufficiale di Venezia avrebbe dovuto pensare alle quote rosa?
I numeri parlano chiaro: tra tutti i film visionati, quelli con una firma femminile erano una decisissima minoranza (il 21%), e quelli meritevoli di essere presentati nella selezione finale solo uno. La fragilità delle argomentazioni della rivista statunitense ha fatto sì che la questione trovasse poco o nessun terreno fertile dove attecchire, e tutto si è spento ed è stato liquidato così come doveva essere: dopo che persino Liliana Cavani, premiata al Lido da Ente Dello Spettacolo con il Premio Bresson 2018, ha avuto poco da aggiungere se non che nel cinema il merito viene prima di tutto, seguita a ruota da Lina Wertmuller -prima donna ad essere candidata agli Oscar nel 1971 con "Pasqualino Settebellezze"- che ha detto che “chi fa strada lo merita a prescindere dal sesso, non è di questo che ha bisogno il cinema”. Piuttosto, come ha riflettuto il direttore del festival Barbera, il problema sta probabilmente a monte: non è sullo schermo che vanno cercate e rispettate spasmodicamente le quote rosa, ma alla base, cioè nei metodi di accesso all’industria cinematografica, ai criteri professionali selettivi prima di girare un film, prima di produrlo.
La seconda, bislacca querelle è stata quella che verte su Netflix, il colosso dello streaming che da qualche anno si è inserito nel mercato della produzione cinematografica. Se il direttore di Cannes Thierry Fremaux ha quindi bandito, preventivamente, ogni prodotto filmico distribuito in streaming, escludendone l’ingresso sul red carpet, Venezia ha intelligentemente intuito le potenzialità del mercato e il suo sviluppo: anche qua, Barbera è intervenuto con acume, spiegando che per lui è sbagliato sbarrare le porte ad un’opera solo per il mercato a cui è destinata: ben venga la distribuzione anche in sala (come probabilmente succederà con il sontuoso "Roma" di Alfonso Cuaròn), ma se il futuro passa anche da Netflix, il cinema può e deve adattarsi, adagiandosi in una progressione instancabile di nuove modalità di fruizione.
I film dell'1-2-3 Settembre
Julian Schnabel, pittore, ha visto proiettato in Concorso la sua personalissima biografia di Vincent Van Gogh "At Eternity’s Gate". Resoconto emotivo più che storico sulle difficoltose vicissitudini della vita dell’infelice genio. Per quanto sia affascinante osservare come un pittore/regista vede e restituisce la creazione nella pittura, per quanto William Defoe in un nuovo ruolo da biopic polarizzi su di sé in pratica tutto il film, "At Eternity’s Gate" suona male e gira a vuoto, con movimenti di macchina convulsi che cercano di spacciare per “stile” sobbalzi e riprese in difficoltosa soggettiva.
Di tutt’altra pasta è invece "Acusada", di Gonzalo Tobal, legal drama i cui contorni sembrano combaciare con la vicenda di Amanda Knox (una ragazza è sospettata e accusata di aver ucciso un’amica durante un festino senza freni), ma che alla fine assume proporzioni gigantesche per l’efficace messa in scena della tensione di cui è capace il regista, che punta il dito contro la gogna mediatica e i processi in TV, luoghi osceni ma oggigiorno unici dove sembra potersi mettere in evidenza la verità o la bugia.
Torna al Lido anche Brady Corbet, autore due anni fa del controverso ma bellissimo -e puntualmente pluripremiato "The Childhood Of A Leader": e dove quello innescava inquietanti rapporti fra privato e pubblico indagando nella storia dei primi decenni del Novecento questo suo nuovo "Vox Lux", oltre a vantare una prodigiosa Natalie Portman, mette a fuoco la fine del secolo e i cambiamenti, profondi e radicali, sulla percezione dell’arte e sulle perversioni massmediologiche e postmoderne, partendo da un eccidio in una scuola americana e finendo sul megapalco di un concerto pop.
Applausi anche per Valeria Bruni Tedeschi, fuori concorso con "Les Estivans" (I Villeggianti): con lontani echi biografici, racconta i giorni d’estate di una ricca famiglia dell’alta borghesia, innestando discorsi importanti sulla lotta di classe, la decadenza della borghesia, le macerie umane sotto le quali oggi sono seppelliti i valori, e semiserie riflessioni meta-cinematografiche, aiutata -anche lei in scena, bravissima- da una vibrante Valeria Golino e Riccardo Scamarcio, forse fin troppo utilizzato relativamente alla sua efficacia in scena. Urla, pianti, litigi, abbandoni, ritorni: emozioni come fantasmi, pronti a sparire nella nebbia.
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