Morrissey LOW IN HIGH SCHOOL
[Uscita: 17/11/2017]
Inghilterra #consigliatodadistorsioni
Tempi duri per Morrissey, icona indie pop inglese per eccellenza. Tutto è iniziato nel 2014 con un disco, “World Peace Is None of Your Business”, accolto ben al di sotto degli standard, ed è proseguito negli ultimi tre anni con qualche scivolone comunicativo, l’uscita del bio-pic “England is Mine” non autorizzato dallo stesso artista, fino all’acceso diverbio dello scorso luglio con la polizia romana, che contestava a Moz e a suo nipote di sfrecciare in contromano a tutta velocità per Via del Corso (una delle nuove canzoni reca il paradigmatico titolo Who Will You Protect Us From the Police?). Di qui la decisione di annullare le ben sette date in Italia previste prima e dopo l’uscita del nuovo “Low in High School”, che ha inevitabilmente fatto calare il consenso pressoché universale di cui ha sempre goduto l’ex Smiths presso la “comunità indie” mondiale. Ce n’è abbastanza, insomma, per un disco che tiene dentro tutta la tempesta emotiva del Morrissey arrivato alle soglie dei sessant’anni più polemico e provocatore che mai. Low in High School è un album crepuscolare, decadente, un pò wildiano un pò baudeleiriano, in cui Morrissey riversa tutta la sua personalità controversa e divisiva, senza più preoccuparsi di quel consenso universale di cui sopra.
Che sarebbe stato un disco spigoloso si era intuito fin dal momento in cui è stata rivelata la cover, raffigurante Max Lopex, il figlio del bassista di Moz Mando Lopex, che solleva un cartello con la provocatoria scritta Axe The Monarchy (Abbatti la Monarchia). Un concetto accattivante e che in diversi punti del disco viene ripreso ed elaborato: è aperta, infatti, l’interpretazione di Jackie’s Only Happy When She’s Up On The Stage, in cui l’artista parrebbe far riferimento alla Brexit (cosa che lui stesso ha definito “meravigliosa” in tempi non sospetti) quando canta “this country is making me sick”. Il filone “politico” continua anche in altri luoghi, e s’inerpica su temi che forse in un disco pop appaiono fuori luogo, come le sperticate lodi di Israel (tema filo-israeliano che compare anche in The Girl From Tel-Aviv Who Wouldn’t Kneel, uno dei pezzi musicalmente migliori del disco in cui ritroviamo accenni alla tradizione popolare mediterranea).
Più convincente l’artista appare quando parla di amori malsani (My Love I’d Do Anything For You, All the Young People Must Fall in Love, When You Open Your Leg), o quando si misura con delicatissime ballate dark ricche di spunti new wave/elettronici (I Bury The Living, In Your Lap, Home Is A Question Mark). I brani in assoluto migliori del disco, però, restano i singoli Spent the Day in Bed e I Wish You Lonely, contraddistinti da una leggera freschezza che alleggerisce tutto l’incedere ossimorico e a tratti paradossale di un disco nel complesso molto cupo. L’ennesima conferma del fatto che Morrissey sia un personaggio unico, senza mezze misure o compromessi. All’ascoltatore l’ardua scelta: prendere o lasciare?
Video →
Correlati →
Commenti →