Boris DEAR
[Uscita: 14/07/2017]
Giappone
Per festeggiare i 25 anni di carriera Boris, il trio più potente del Sol Levante, nonché una delle realtà più marmoree del doom–stoner contemporaneo, si regala l’ennesimo album di una già satura discografia. Opportunamente spogliato della narcisistica megalomania di opere recenti come “Pink” o “Gensho”, “Dear” non rinuncia però alla monolitica intensità ormai marchio di fabbrica del trio, ad una lunghezza da maratoneti del volume (album di oltre un’ora), né abdica, sotto sotto, ad una subdola quota di autocelebrazione, una rilettura ed una reinterpretazione di sé che è costante di quest’ultima fase di carriera, e qui invero appare più sfumata e sottesa. Qualche fantasma del passato, poi Absolutego (titolo del album d’esordio) di cui qui rimane solo la parola, riadattata per un brano di feroce disperazione: quello sguardo di strafottente superiorità del samurai prima dell’harakiri.
Emerge infatti, più che altrove, una vibrazione mortifera e ultraterrena, a cominciare dall’aberrante anatomia di copertina. Boris come Walking Dead, immagine defunta di loro stessi? Di certo il roseo azzurrino shoegaze, che spesso faceva capolino tra i terremoti sonori, lascia qui più spazio ad un battente rintocco grigiastro e nichilista, ad un girovagare meditabondo che scioglie il guinzaglio ad un’oscillazione elettronica forse retaggio o eredità involontaria delle tante collaborazioni con Merzbow. Poi le consuete cadenze lente, che sprofondano nell’ipnotico in Beyond, ed i venti industriali e crepitanti che spazzano una lunga strada solitaria. Pur in una cornice ben nota e già sentita, desta ancora bella impressione una litania di nuvole inferiche come Dystopia-Vanishing Point. Non ultima, una parte vocale catatonica e monocorde che rivendica l’ascolto, ben più del solito. Un lungo addio.
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