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26 Maggio 2017

Timber Timbre SINCERELY, FUTURE POLLUTION

2017 - City Slang
[Uscita: 7/04/2017]

Canada

 

In ogni percorso artistico vi sono momenti nei quali la linea evolutiva s’arresta, talvolta solo temporaneamente, ce lo si augura: è il caso dei canadesi Timber Timbre. Al sesto sigillo la banda capitanata dal prode Taylor Kirk licenzia per i tipi della City Slang un album dai colori smorti e svanenti in labili e indistinte architetture sonore. “Sincerely, Future Pollution” rappresenta un notevole passo indietro rispetto al precedente “Hot Dreams” del 2014. Laddove i suoni echeggiavano cupi e tenebrosi, erompenti come da foreste stregate, qui la miscellanea di pop, folk, alternative rock, blues metropolitano, guarnita di discutibili ricami elettronici, mostra evidentemente la corda, spegnendosi già sul nascere in un coacervo amorfo di sonorità insoddisfacenti. Persino la bella voce di Kirk, sciamanica ed evocatrice di spettri “ridgwayani”, affonda come in superfici di catrame liquido, non riuscendo se non raramente a rendere il segno di una profondità poetica che è invece lo stigma abituale del gruppo.

 

Evidente sin dall’iniziale Velvet Gloves & Spit è la debolezza compositiva ai limiti della banalità, un pop insipido e superficiale anzichenò. Imbarazzante appare, poi, lo stanco incedere di Grifting, nella quale solo la voce ha a tratti dei balenii di brillantezza, innestati su di una struttura sonora vuota e ripetitiva. Gli unici frammenti meritevoli di essere tratti dal meritato oblio complessivo, sono a nostro avviso: Skin Tone, traccia nella quale si riaffaccia la vena fulgida dei dischi precedenti, una lenta e oscura discesa strumentale nei meandri dell’animo umano, in chiave di pulsazione post-punk, con suoni sincopati e filtrati sinteticamente; Moment, dolente nenia nella quale la voce di Taylor Kirk assurge a un lirismo quintessenziato di spirito tragico, toccando profondità abissali, debitamente assecondata dalla matrice folk-dark della struttura sonora; la title-track, Sincerely, Future Pollution, lenta e febbrile cavalcata musicale, ebbra di miasmi venefici, entro il cuore marcio della terra, con sventagliate di schegge industrial che fanno corona a un impianto strumentale dall’inquietante respiro suburbano, su cui la voce di Kirk s’innesta come un oscuro richiamo rituale saliente da indicibili abissi. Il resto è sterile e autoreferenziale accademia. Auspichiamo, a breve, per i pur valorosi Timber Timbre, un ritorno ai consueti livelli.

 

Voto: 5/10
Rocco Sapuppo

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