Serge Gainsbourg Satana, ovvero Gainsbourg
I N T R O
Sono passati ormai più di quaranta anni, eppure fa ancora notizia il 1968, e a costruire quell’anno irrepetibile contribuirono senz’altro le canzoni. Quelle politiche, certamente, ma anche quelle pop, soprattutto la canzone erotica Je t’aime...moi non plus di Serge Gainsbourgh e Jane Birkin. Per celebrare l’evento, per quanto Gainsbourgh (e il ’68) non passino mai di moda, la casa editrice Taschen, specializzata in libri d’arte, ha mandato in libreria il 23 ottobre 2013 “Jane & Serge. A Family Album”, a cura di Alison Castle, un libricino tascabile di 172 pagine che comprende fotografie e scritti di Andrew Birkin, regista (“Il giardino di cemento” dal romanzo di Ian McEwan), scrittore, fotografo nonché fratello di Jane. Ecco una breve biografia dell’eccentrico artista francese.
Il personaggio Gainsbourg
Serge Gainsbourg nasce Lucien Ginsburg il 2 aprile 1928 a Parigi. Quando decide di intraprendere una carriera nel mondo dello spettacolo sceglierà di cambiare nome, omaggiando il pittore inglese Thomas Gainsborough, perché quello di famiglia suonava troppo ebraico, e anche dopo la guerra l’antisemitismo non era diminuito. È il terzogenito, nato dopo un fratello e una sorella, ed ha una gemella. Il primogenito morirà da piccolo, lasciandolo unico maschio in famiglia (non faremo psicoanalisi selvaggia su ciò). Il padre era pianista ma Serge imparò a suonare da autodidatta. Serge odiava la scuola, odiava alzarsi presto, ma aveva talento per la musica. Fare il cantante di piano bar era la soluzione ideale per il suo futuro. Rimaneva un problema da superare: vincere la sua terribile timidezza. Durante il servizio militare scopre che lo si può fare grazie all’alcool, che diventerà un compagno di vita più fedele delle donne. <<Beveva sistematicamente-dirà Jane Birkin il suo più grande amore- ho dovuto lasciarlo per questo>>. Molto giovane ebbe un tentativo di matrimonio, con la segretaria di Dalì, la modella Elizabeth Levitsky, ma questo naufragò subito. Visse coi genitori fino a quarant’anni e non prese mai la patente. Coi primi successi come musicista, chansonnier influenzato da Boris Vian, il cinema si accorge di lui. Non è bello, quindi gli toccano ruoli di cattivo. Commentava: <<la bellezza non è una virtù, perché passa. La bruttezza è una virtù, perché rimane>>. Eppure ebbe donne bellissime, su tutte Brigitte Bardot.
Si narra che i parigini trasecolavano quando lo vedevano passare con una bellissima bionda che guidava una bellissima macchina. È per BB che scrive Je t’aime…moi non plus, quando il loro amore finisce, ma sarà insieme alla Birkin che la porterà al successo. Gainsbourg ama scandalizzare. Lo fa con le sue canzoni erotiche, a lungo proibite dalle radio statali. Lo fa quando incide una versione reggae della Marsigliese, e i parà reduci dall’Algeria e i fascisti militanti lo minacciano di morte; lo fa quando brucia una banconota di grosso taglio in TV e commenta <<ecco cosa resta dei miei guadagni dopo che ho pagato le tasse>>, e stavolta è la gauche a odiarlo. Gli altri artisti invece lo amano. Jacques Prevert parla bene di lui. Serge decide di andare a ringraziare il grande poeta di persona. Chissà perché pensa di fare più bella figura andando di mattina. Per la prima volta in vita sua si alza prima di mezzogiorno e per la prima volta non comincia a bere appena alzato. Si presenta da Prevert alle 11 e lo trova sbronzo perso che parla da solo. <<Bevo, fumo, scopo. Perfetto triangolo equilatero>>, così sintetizza la propria vita. Ma i primi due lati gli sono fatali. Negli ultimi di vita è quasi cieco, devastato dalla cirrosi e ai limiti della follia. Un infarto lo porta via il 2 marzo 1991. Accanto a lui l’ultima fiamma, Bambou (Caroline Von Paulus), una modella di origini orientali. <<Ho avuto talento per tutto tranne che per la vita>>, è la frase che sceglie come epigrafe.
Il musicista Gainsbourg
Questa breve biografia potrebbe dare l’idea che Gainsbourg sia stato solo un abile manipolatore di media, la cui musica è una questione secondaria. Invece Gainsbourg fu musicista di grande talento, versatile, capace di cavalcare le mode quanto di anticiparle. Come per Picasso o Rossellini - i paragoni non sembrino irriverenti - il percorso musicale di Serge si può dividere in periodi. Nel primo, sul finire degli anni ’50, Gainsbourg è influenzato dal jazz e da Boris Vian, personaggio con cui divide la carica eversiva e il gusto surreale. Una canzone come L’eau a la bouche, dalla colonna sonora del film omonimo di Jacques Doniol Valcroze (in Italia “Le gattine”) è un perfetto esempio del primo periodo: ritmo sincopato, vagamente sudamericano, e ricche sezioni di fiati, scritte da Alain Goraguer, uno tra i suoi più valenti collaboratori. È evidente la passione per le percussioni, che non lo abbandonerà mai,mentre colpisce la mancanza di strumenti armonici, strana per un musicista che nasce pianista. Nei primi lavori ("Du chant à la une!" (1958), "Serge Gainsbourg N° 2" (1959), "L'étonnant Serge Gainsbourg" (1961), "Serge Gainsbourg N° 4" (1962), "Gainsbourg Confidentiel" (1963)) i testi trattano già i temi preferiti: donne, adulterio, alcolismo, povertà, da perfetto bohemien qual’era. I primi dischi di Gainsbourg sono apprezzati dalla critica ma non dal pubblico. La critica snobberà invece il sesto album “Gainsbourg percussions” che, come dice il titolo, vede l’autore affiancato da sole percussioni, oltreché da coriste. È quello che Serge chiama il suo disco cubista, e contiene anche cover di Babatunde Olatunji e Miriam Makeba, e regala il debutto a France Gall, una cantante per cui Gainsbourg scriverà molte hits. È il lavoro, con lei, con Francois Hardy, con Brigitte Bardot e soprattutto con Jane Birkin a regalare a Gainsbourg il successo commerciale. Soprattutto con Je t’aime moi non plus, nata strumentale per una colonna sonora, genialmente arrangiata da A. Greenslade, incisa prima da BB e portata in classifica con Jane, sebbene molte radio la censurino, molti negozi la nascondano e il vaticano la scomunichi.
Quello della collaborazione con Jane Birkin è possibilmente il periodo più emblematico del Gainsbourg compositore. Canzoni dalle melodie irresistibili, dai ritmi contagiosi e i cui testi omaggiano, o sbeffeggiano, le mode e i tic del momento. Anche la voce della Birkin, sebbene non straordinaria e sempre al limite della rottura, suo malgrado diventa un marchio di fabbrica molto imitato. Nuovo momento clou della carriera è l’incisione dell’album “Histoire de Melody Nelson” (1971), un concept album in cui si racconta la storia di un miliardario che investe una ragazzina di cui si innamora, per poi essere abbandonato. È chiaro il riferimento a “Lolita” di Nabokov, romanzo che ha influenzato la musica rock molto più di quanto non si pensi, prendiamo ad esempio “Two against nature” degli Steely Dan. Disco brevissimo, circa 29 minuti, eppure tra i più influenti nella musica contemporanea. Arrangiamenti scarni ed essenziali, che devono molto al funky. Il basso inciso molto alto, tecnica che riapparirà come fondamentale nella stilizzazione del reggae e della new wave, voce semirecitata, e coloriture di archi scabre e taglienti, scritte da Jean Claude Vannier, che saranno citate in molti dischi successivi, per esempio “Sea change” di Beck. L’amore tra Gainsbourg e il reggae è ampiamente ricambiato: tra il 1978 e il 1980 il poliedrico chansonnier si trasferisce in Giamaica per incidere “Aux arms et caetera” e “Mauvaises nouvelles des ètoiles”, insieme ai maestri del ritmo in levare Sly Dunbar e Robbie Shakesperare e le I-Threes di Rita Marley. Grandi successi di pubblico e nuovi scandali per i testi oltraggiosi più che mai. Nel frattempo torna a collaborare con dive splendide, Catherine Deneuve e Isabelle Adjani, a onor del vero più portate come attrici che come cantanti.
I dischi seguenti “Love on the beat”, con in copertina il cantante truccato da donna ritratto da William Klein e il gabrieliano Larry Fast alle tastiere, e “You’re under arrest” passano invece al sinth pop. Per non fare di Gainsbourg un santino dobbiamo anche dire che a volte il francese ha scritto canzoni di una bruttezza sconcertante: per esempio Quoi, scritta insieme ai fratelli Guido e Maurizio de Angelis, cantata da Jane Birkin, sigla del serial televisivo “Cinecittà”, canzone che mette imbarazzo nell’ascoltarla, o Lemon incest, duetto con la figlia Charlotte basato su un tema di Chopin, espediente utilizzato più volte. Charlotte si farà perdonare diventando una grande attrice e incidendo due buoni dischi in collaborazione con Air e Beck (tutto torna). L’influenza di Gainsbourg sulla musica attuale è enorme, abbiamo citato solo alcuni dei nomi, ma l’elenco di chi ha inciso suoi brani o ne ha imitato lo stile prenderebbe una rivista intera. Anche molti album tributo sono stati incisi, tra cui uno dell’etichetta Tzadik per la serie “Great jewish composers” (per la cronaca interrotta dopo soli tre volumi, gli altri sono Bacharach e Marc Bolan) a dire il vero poco riuscito, così come “Monsieur Gainsbourg revisited” (Virgin records 2006) è piacevole ma non imprescindibile, mentre molto validi sono i due album interamente a lui dedicati da parte di Mick Harvey, con covers sostanzialmente molto fedeli. Anche in Italia Serge ha stuoli di imitatori, i Baustelle lo citano esplicitamente in Il canzoniere 999, mentre canzoni come Singolare donna di Gianluca De Rubertis lo omaggiano in maniera quasi calligrafica. Interminabile sarebbe poi l’elenco di chi ha inciso “Je t’aime moi non plus”, citeremo solo i più eccentrici, Nick Cave, Psychic TV, Einsturzende Neubaten, Giorgio Albertazzi e Anna Proclemer, Benito Urgu, Asia Argento e Brian Molko (a ruoli invertiti), Cat Power.
Il cineasta Gainsbourg
La relazione tra Gainsbourg e il cinema dura tutta la vita. Dell’autore e di colonne sonore si è già parlato. Come attore lavorò in molti film, in ruoli di caratterista, generalmente in film di genere, raramente diretti da registi importanti, semmai da bravi artigiani come Berri, Lautner o il nostro stracult Margheriti. Uno come Gainsbourg non può non cimentarsi nella regia, e lo fa nel 1976 con “Je t’aime moi non plus”, con Jane Birkin e il protegè di Warhol Joe D’Alessandro, storia di un camionista gay che si innamora di una ragazza androgina con cui riesce ad avere solo rapporti per angusta via. Il film fu stroncato da pubblico e critica, ma fu difeso a spada tratta da Francois Truffaut, altro amante delle donne e degli anticonformisti. Poi ci fu l’inevitabile, per un francese, confronto con Simenon, con “Equateur”, considerato poco riuscito. Il cinema di Giansbourg in Italia è stato praticamente ignorato: possediamo solo una videocassetta uscita con la serie “Gli Introvabili” pubblicata da L’Unità negli anni ’90, un’edizione di “Charlotte forever”. In questo film Gainsbourg stesso interpreta uno sceneggiatore alcolizzato che si fa chiamare Satana, che litiga continuamente coi produttori e ha un rapporto ambivalente con la figlia, interpretata dalla vera figlia Charlotte, che lo odia, ma è gelosissima delle attenzioni che Satana riserva alle sue amichette.
Un filo claustrofobico, girato quasi solo in un'unica stanza, che mette a dura prova lo spettatore. Il Dizionario Mereghetti gli dà tre pallini su quattro, ma ammettendo che o lo si ama o lo si odia. Senz’altro i più un film così lo odieranno, ma non si può negare che Gainsbourg mostri talento anche nel muovere la cinepresa. Su Gainsbourg è stato girato anche un film biografico, intitolato “Gainsbourg, vie hèroїque” debutto nel lungometraggio del fumettista Joann Sfar, di cui in Italia è uscita la graphic novel “Klezmer”. L’interprete è il poco noto, almeno da noi Eric Elmosnino, molto somigliante al grande regista Claude Chabrol, morto poco dopo, nel ruolo del produttore e uno stuolo di bellone tra cui Letitia Casta, Anna Mouglalis, Sara Forestier e Lucy Gordon, sosia di Jane Birkin suicidatasi poco dopo la fine delle riprese, creando un alone maledetto sull’opera. Questo film, sebbene incensato dalla critica, è inedito da noi, chissà perché. Gainsbourg fu anche romanziere: nel 1980 scrisse “Gasogramma”, pubblicato in Italia nel 2011 da ISBN, biografia surrealista del pittore folle e autodistruttivo Evguiene Sokolov , chiaramente un alter ego, che usa una tecnica a dir poco originale. Anche in questo caso gran plauso della critica e poco interesse del pubblico, che continua a credere che Gainsbourg fosse solo un vizioso autore di canzonette.
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