Teatro Satanico FATWA
# Consigliato da Distorsioni
Pur essendo uscito 2 anni e mezzo fa, “Fatwa” resta l’ultimo album-capolavoro di Teatro Satanico, progetto fondato da Devis Granziera e Alberto Maria Kundalini nel 1993. “Fatwa” è il quarto album ufficiale del Teatro Satanico (escludendo i lavori in cassetta e CD-R e l’album pubblicato nel 2006 in collaborazione con Muzakiller) ed il secondo realizzato con Roberto “Kalamun” Pasini al posto del co-fondatore Kundalini. La svolta sonora del Teatro dal 2006 in poi, testimoniata anche dagli esordi live del progetto all’inizio del 2007, è notevole: dall’industrial rumoroso e lo-fi con le voci recitanti di Kundalini (periodo 1993-2005), si passa ad una sorta di synthpunk (DAF, Die Krupps, Cabaret Voltaire) ed electro-industrial (Skinny Puppy, Dive et similia) contaminata da vari episodi rituali (Coil su tutti), ed anche alcuni elementi pop, totalmente assenti nei primi lavori della band. “Fatwa” esce a tre anni di distanza dal precedente “Black Magick Block”, il primo album con la nuova line-up, e perfeziona al massimo la formula sonora del combo veneto. La meticolosità nella programmazione ritmica (tutti i ritmi mid-tempo vengono magistralmente creati assemblando vecchi suoni di drum machine Roland, rumori e campionamenti di varia natura, senza l’utilizzo di loop precostruiti), le bassline in stile DAF e malsane melodie sono due delle caratteristiche musicali fondamentali dei nuovi Teatro Satanico.
Il disco si apre nel migliore dei modi con Allah Kebab, ormai un classico della band anche in sede live, in cui le differenze con il passato sono subito evidenti: nonostante le atmosfere malsane e una buona quantità di rumore, una insolita voce alla Ferretti periodo CCCP ed un basso ipnotico in stile ebm giacciono su un bel programming ritmico mid-tempo. Adrian Andrew Woodhouse è una nenia malsana su cui il clarinetto elettronico di Kalamum tesse melodie malate su una bassline analogica che ricorda i brani più lenti e psicotici dei DAF. Le drum machine di God Told To Do It (il titolo è tutto un programma) ricordano quelle di Caio Casio (del 2003) su cui vengono sovrapposte delle bassline analogiche, melodie struggenti e una voce così distorta che è a malapena intellegibile. La title-track Fatwa è un tributo ai migliori DAF del periodo “Alles Ist Gut” : lenta e malsana, è accompagnata dai lamenti sofferenti e malati di Devis G. riverberati all’inverosimile. Sex Magick Rockets Babalon (For J. Parsons) è un’altra nenia questa volta dal sapore Coil, dedicata allo scienziato occultista Jack Parsons (seguace di Crowley): intensa è l’interpretazione vocale di Devis G. pur essendo la voce non troppo presente nel missaggio.
Baby Babalon è un remake di un brano presente nel precedente album, registrato meglio (soprattutto la voce è più graffiante e presente), ma nulla di sostanziale viene aggiunto all’ipnotico brano in stile electro-industrial, vagamente in stile Skinny Puppy. La Visione e la Voce è ispirato ad un noto libro dell’occultista, mago, poeta e scrittore Aleister Crowley e, insieme a Sex Magick Rockets Babalon, rappresenta l’episodio più rituale (e più influenzato musicalmente dai Coil) dell’album con la voce di Devis G. che canta, con intonazione da canto cristiano (tecnica di canto ampiamente utilizzata da Giovanni Lindo Ferretti, a cui Devis paga tributo anche in questo brano) di alba dorata, uovo cosmico ed altre simbologie classiche dei rituali magico-esoterici dell’Alba Dorata a cui lo stesso Crowley aderì per un breve periodo. Il gioco di parole Dio Dio Dio Di Odio è un breve intermezzo (della durata inferiore ad un minuto) realizzato mediante un collage di voci recitanti di Cosimo “Zos” Mungheri dei Khem, altro progetto in cui Devis G. è coinvolto, a cui segue Anus Dei, una suite cosmica ispirata al canto gregoriano dell’Agnus Dei con la voce distortissima di Devis che simula un canto gregoriano in latino.
La conclusiva Veni Satan Lucifer è una ironica esortazione a satana affinché ci liberi dai nostri mali; musicalmente il brano sembra una colonna sonora per una guerriglia urbana, una sorta di field recording di azioni militari (sparatorie, elicotteri), con la voce iperdistorta (ma mai invasiva) di Devis. Chiude l’album una ghost track fatta di ritmi e canti tribali di qualche tribù sperduta in un remoto angolo del pianeta. Come già evidenziato, l’unico difetto di questo disco sono le voci poco presenti, troppo distanti e troppo effettate: chi ha avuto la fortuna di vederli dal vivo si sarà accorto di come i brani di “Fatwa” prendano ulteriore colore (e calore) con la voce di Devis in primo piano. Un disco variegato, ben prodotto e con bei suoni, che piacerà sia agli amanti dell’industrial rituale che ai cultori dell’electro-industrial e del synth-punk. All’interno dell’elegante digipak troviamo la riproduzione a colori di quattro inquietanti dipinti ad olio dell’artista veneziano Saturno Buttò, che mescolano sacro e profano, cristiano e satanico, erotico e granguignolesco e molto altro ancora. Potremmo già considerarlo un classico dell’industrial italiano in attesa di un nuovo lavoro a lunga durata del combo veneto.
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