Bahamas Barchords
BAHAMAS: Barchords - Brushfire Records - Uscita: 7 Febbraio 2012
Ammetto di avere finora snobbato Jack Johnson, per cui non è che abbia immediatamente drizzato le antenne quando, consigliandomi questo disco, mi è stato detto che esce per la sua etichetta. Mi si è però drizzato di tutto (eh, calma ... orecchie e peli) appena è partito il primo pezzo, Lost in The Light, semplicemente fa-vo-lo-so, ovvero quando la semplicità è l’ arma migliore: una chitarra che ripete due accordi molto soulful, un battimani, un pianoforte leggero, due voci femminili che armonizzano a bocca chiusa e poi una melodia perfetta che nel ritornello si apre gospel e diventa celestiale. E lo sarà per sempre. Un incipit come non se ne sentivano da mesi, è talmente irresistibile che prima di passare oltre la riascolto tre volte.
La stessa cosa mi era capitata col vinile dell’ esordio di Rumer, per il timore che la seconda facciata non reggesse il confronto (e non lo regge, ma per fortuna gli batte vicino) riascoltai due volte la prima. Mentre ascolto il resto cerco notizie. Scopro che è il secondo album a nome Bahamas (non ho ascoltato il primo “Pink Strat”, sorry) il cui titolare, Afie Jurvanen, arriva dai grandi laghi del Canada e vanta collaborazioni con Howie Beck, Jason Collett, ed è stato sideman di Feist che qui ricambia fornendo la seconda voce in Snowplow. Cerco altre emozioni e ne trovo a iosa, tanto che dovrei raccontarvi di ogni singola canzone. Non lo faccio, un po’ perché non voglio rovinarvi la sorpresa e poi perché necessitano di una frisa di attenzione in più rispetto al brano posto in apertura, ma vi assicuro che appena vi entreranno sottopelle non ne farete più a meno.
Vi dico solo che la forza del disco risiede, oltre che nella scrittura, nel suono, insieme semplice, raffinato ed asciutto frutto di una registrazione molto naturale e non troppo prodotto. Suono e trama che richiamano a volte i Lambchop più sofisticati ma con un approccio alla Bill Callahan, il minimalismo e le lentezze dei Low andati a svernare su una spiaggia californiana (Montreal e la conclusiva Be My Witness), nonché certe squisitezze retro-pop più solari care a un certo M Ward (Caught Me Thinking, quasi dei Vampire Weekend abbronzati). Vi dico ancora che le rare volte in cui le chitarre graffiano lo fanno alla maniera di Neil Young (strano eh?) e Nels Cline. Io vado a cercare di scoprire il motivo per cui dovrei continuare a snobbare Jack Johnson, voi correte ad ascoltare questo disco, non ve ne pentirete. Siete ancora lì?
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