Kurt Vile WAKIN’ ON A PRETTY DAZE
[Uscita: 9/04/2013]
Guardi Kurt Vile e ti sembra l'ultimo sopravvissuto dell'ondata grunge degli anni novanta. Oppure uno di quei bizzarri chitarristi freak dalla lunga chioma, ovvero quelli che suonavano in quelle favolose band underground di 40 anni fa. Inizia molto giovane a suonare la chitarra ed incide un paio di demo tape, poi incontra nella nativa Philadelphia l'amico Adam Granduciel con il quale forma gli interessanti The War On Drugs, un gruppo dal nome quantomeno impegnativo. Con loro rimane lo spazio di pochi anni giusto il tempo di partecipare al disco d'esordio, “Wagonwheel blues” (2008), un bello spaccato delle due personalità presenti. Ma ormai Kurt ha deciso che quello che ha in testa è la carriera solista, vista anche l'enorme quantità di brani che tiene nel cassetto. Dal 2008 al 2011 vengono fuori 4 dischi di equivalente valore, dovendone sceglierne uno direi "Smoke ring for my halo" (2011). Passati due anni da quel disco Kurt Vile si ripresenta sulle scene con questo monumentale "Wakin' on a pretty daze", il suo capolavoro, di ben 69 minuti di durata. Vengono fuori così lunghe ballate, anzi lunghissime, con la voce malata e psichedelica del ragazzo di Philadelphia, una sorta di Johnny Thunders del nuovo millennio.
Dei tre chilometrici brani compresi nel disco, quasi 30 minuti totali, convince pienamente la title track "Wakin on a pretty daze", un po' meno i 10 minuti della finale Goldtone e quindi la preferenza va inevitabilmente a Too Hard. Una canzone straordinaria, forse la più bella che ho avuto modo di ascoltare in questo scorcio di 2013, un lungo delirio psichedelico, la voce di Vile è da paura, è come un Leonard Cohen strafatto di acido, il classico pezzo che da solo vale l'intero disco. E' anche il pezzo più intimista visto che recita così "ho promesso a mio padre che non avrei fumato né mi sarei drogato troppo". Più esplicito di così. I pezzi di questo album a volte sembrano non finire mai, come se a Kurt Vile non bastassero i canonici 3-4 minuti per dar sfogo alle sue liriche. E Never run away è una delle poche eccezioni a questa regola. Lo stile vocale di Kurt è qualcosa che sta a metà fra Peter Perrett degli Only Ones e lo Steve Wynn fantastico del primo periodo. KV crimes e Girl called Alex paiono proprio due outtakes al rallentatore dal primo glorioso "The days of wine and roses" dei Dream Syndicate, superbe entrambe.
Raramente l'album acquista un po' di velocità ma quando questo succede abbiamo un pezzo come Snowflakes are dancing che pare recuperata dal Paisley Underground degli eighties. Dopo il bianco e nero del disco precedente questo nuovo lavoro presenta una splendida "street cover" con Kurt Vile davanti ad un muro graffittato. L'album esce per la pregevole Matador Records anche in doppio vinile, tra cui una interessante versione di 3500 copie in vinile blu con muro "ripulito" dai graffiti che ogni acquirente può personalizzare a suo modo con gli adesivi inclusi. Idea geniale ed unica nel suo genere. Molto curioso pure il video di Wakin on a pretty day, nove minuti girati dal noto Jonathan Demme (“Il silenzio degli Innocenti”, “Philadelphia” ndr.) Un album da non perdere, un artista da amare.
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