DVA NIPOMO
[Uscita: 31/03/2014]
# Consigliato da Distorsioni
Viene dalla Repubblica Ceca questo duo che si affaccia ora al mercato internazionale con l’album “Nipomo”, disco eccentrico, bizzarro, sghembo, non facile, dai suoni insoliti in cui si mescola la tensione sperimentale e la giocosità infantile del pop. Lo sperimentalismo è assorbito dentro l’orbita di un suono che cerca sempre la melodia, il ritmo accattivante, ed il risultato è decisamente gradevole anche se spiazzante e reso fantasioso dall’uso di molteplici strumenti, sampler, loop, sovraincisioni, riverberi e quant’altro tecnologia e virtuosismo possano offrire. Nelle note di copertina Bára Kratochvílová e Jan Kratochvíl si presentano semplicemente come She (voce, sax, clarinet, bass clarinet, melodica, toy piano, wooden music box, balaphone) e He (guitar, banjo, looping, sampling, voce, ukulele, melodica, drums, percussion, balaphone), ma questa non è l’unica bizzarria, i testi sono scritti nella lingua inventata DVA e opportunamente tradotti in ceco e inglese nel libretto del cd. Testi enigmatici che parlano di incontri con alieni, viaggi spaziali, vampire/robot ed evocano oniriche immagini psichedeliche.
I rimandi più prossimi potrebbero essere il musicista francese Pascal Comelade, o meglio ancora i suoi folli emuli giapponesi The Pascals, ma anche le prime cose di Yann Tiersen o perfino certi aspetti più sperimentali di band storiche e seminali come Slap Happy e simili, anche se come loro padri putativi vanno citati ovviamente i connazionali The Plastic People of Universe a cui sembrano ispirarsi per la ricerca di sonorità insolite, la deriva verso suoni prettamente jazz, il gusto per la ricerca. E non c’è dubbio che i DVA sappiano giostrarsi abilmente su più stili, spiazzando e sorprendendo, percorrendo linee oblique e corrosive. “Nipomo” non manca di difetti, perennemente in bilico fra raffinatezza sperimentale e kitsch, fra cultura alta e pop. Non sorprende allora scoprire che il duo si è dilettato a scrivere colonne sonore per videogiochi, esperienza che sovente affiora fra i solchi a seminare irriverenti provocazioni. L’inizio è subito ammaliante, la traccia che dà il titolo all’album si regge su un loop ritmico irresistibile su cui la chitarra in riverbero, un clarinetto basso molto scuro e la voce dolce di Bàra costruiscono un perfetto meccanismo per irretire il nostro orecchio. A volte la voce di lei richiama il pop stravagante di band come i Pizzicato Five, per esempio in Surfi, brano il cui ritmo è dato dal sampler di una frenetica pallina da ping pong; altre volte somiglia a soavi richiami adolescenziali di dream pop cantato sotto precoci alterazioni alcoliche, ma possiamo anche scoprirla mentre fa il verso all’acuta voce delle cantanti cinesi tradizionali, in Nunki, mentre in Mulatu un sax free viene sconvolto da un accavallarsi di voci femminili lamentose e chiassose. Di sicuro non lascerà indifferenti.
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